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C’è qualcosa di rassicurante nell’osservare che certe cose che ci piacevano un tempo mantengono la stessa freschezza ed intensità di una volta. Quello che è insolito è il fatto di ricevere queste sensazioni da un gruppo metal che da più di vent’anni si esibisce sui palchi di tutto il mondo con uno zombi alto cinque metri. Naturalmente stiamo parlando degli Iron Maiden e della loro “mascotte” Eddie. Forse per la prima volta il simpatico morto vivente, invece che incutere timore, ha provato lui stesso un po’ di tremarella nel comparire di fronte a 250.000 persone, in occasione del “Rock In Rio”, il gigantesco rock festival che si svolge tutti gli anni nella metropoli brasiliana. Questo concerto è stata l’ultima tappa del lungo tour che i Maiden hanno intrapreso in seguito all’uscita di “Brave New World”, ed è stato certamente il più grande “bagno di pubblico” mai affrontato dal gruppo.
La testimonianza di questo evento ha preso corpo in “Rock In Rio”, doppio disco live prodotto da Kevin Shirley (lo stesso di “Brave New World”) in cui ritroviamo vecchi e nuovi cavalli di battaglia suonati con l’onestà e l’energia che da sempre contraddistingue questa band. Il primo CD è occupato per più di metà proprio da brani tratti da “Brave NewWorld”, fortunato disco che ha visto la rimpatriata dei vecchi “compagni di squadra” come Bruce Dickinson e Adrian Smith, pur mantenendo nella formazione la chitarra di Janick Gers. Chi si aspetta di trovarsi di fronte ad un micidiale muro di suono dato dalla presenza di ben tre chitarre, probabilmente rimarrà parzialmente deluso: a più di quindici anni di distanza, un live come “Live After Death” non ha nulla da invidiare.
Ma ecco che già alla quinta traccia facciamo un tuffo nel passato. “Wrathchild”, brano del periodo Paul Di Anno, rimane un inno a cui i Maiden non intendono rinunciare, e a cui la voce di Dickinson regala nuove ed intense vibrazioni. Subito incalza “Two Minutes To Midnight” con il suo trascinante riff iniziale, tanto caro ai vecchi fans. A questo punto si apre una piccola rassegna sulla produzione più recente: “Blood Brothers” e “The Mercenary”, tratti dall’ultimo disco, e “Sign Of The Cross”, opening track del tanto denigrato “The X Factor”. Chiude il CD la sempreverde “The Trooper”, con la svettante voce di Dickinson accompagnata dal coro oceanico del pubblico.
La prima parte del secondo CD presenta ancora le canzoni più recenti, tra cui due tratte da album meravigliosi e in questo disco piuttosto penalizzati: “Fear Of The Dark”, dall’album omonimo, e “The Evil That Men Do”, proveniente da quel grandissimo “Seventh Son Of A Seventh Son” a cui seguì la prima “diaspora” all’interno della band. Sicuramente all’altezza anche “The Clansman”, del periodo Bayley (anche se l’intro assomiglia un po’ troppo a “Infinite Dreams”). La seconda parte presenta una track list rassicurante come una torta di mele della nonna. Arrivano i classici irrinunciabili come “Iron Maiden”, “The Number Of The Beast”, la magnifica e tenebrosa “Hallowed Be Thy Name”, “Sanctuary” e la travolgente “Run To The Hills”.
Davvero difficile dare un giudizio su un live dei Maiden. Certo, si può osservare con gioia la ritrovata seconda giovinezza di Bruce Dickinson, che con la voce per tutto il concerto raggiunge vette impensabili; quasi scontata l’estrema precisione del resto della band, soprattutto la perfetta amalgama creata fra i tre chitarristi. Ma la vera cosa rassicurante in un live dei Maiden è l’assoluta certezza di ritrovare esattamente le stesse note conosciute ed apprezzate nei dischi in studio. Nessuna benché minima variazione, nessuno spazio per l’improvvisazione: tutto rimane esattamente uguale. Mancanza di fantasia? Forse semplicemente la maturata consapevolezza di avere di fronte migliaia di “metal kids” poco interessati ad improbabili svisate, ma desiderosi di ritrovare dal vivo le stesse identiche note che hanno amato e consumato fino alla nausea nelle loro camerette tappezzate di zombi sogghignanti.