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Se siete annoiati dalla musica che vi circonda, se il vostro ideale è identificabile in un uomo capace sempre e comunque di sorprendervi, correte al primo cd-shop che incontrate e acquistate quest’album di Jim O’Rourke…anzi, meglio ancora, aggiungete un dettaglio: correte al primo cd-shop (o negozio di dischi, come volete chiamarlo) e acquistate in bella sequenza “Happy Days”, “Eureka”, “Insignificance” e “I’m Happy, And I’m Singing, And a 1,2,3,4”. Poi tornate a casa e inserite nel vostro lettore cd il primo della lista. “Happy Days”, del 1997 è un miracoloso quadro espressionista in cui convivono post-rock, bagliori folk e improvvise impennate tipiche del jazz d’avanguardia. Ok, l’album è finito, riponete il cd nella sua custodia e passate a “Eureka”, del 1999, in cui Jim O’Rourke spazia nell’immenso calderone del pop, puro pop da classifica, con tanto di cover da Bacharach, dimostrazione dell’ironia alle spalle del tutto. Sarà poi la volta del lirico, placido e rilassante “Insignificance”, dove il folk prende il sopravvento con decisione.
Va bene, avete ascoltato tutti i primi tre album della lista, davanti a voi ora c’è solo questo “I’m Happy, And I’m Singing, And a 1,2,3,4”, per il quale il chitarrista abbandona due punti di riferimento degli altri album: la Drag City (ma “Happy Days” era uscito per la Revenant) e la chitarra. Infatti, prodotto e appoggiato in questa sua operazione folle dalla Mego, alla sua cinquantesima produzione, O’Rourke licenzia un album composto esclusivamente dietro la consolle di un computer e registrato, come dice lo stesso autore, tra il 1997 e il ’99 a New York, Osaka e Tokyo. Torna dunque la musica elettronica, vecchio amore del compositore, non a caso fondatore di quel movimento che viene ormai comunemente chiamato “Post-Rock” e che ha i suoi natali in quel di Chicago. E torna in maniera allucinante, con una sequela di suoni lanciati, sovrapposti, quasi senza una linea di confine, senza una pausa, martellanti eppure eclettici e sorprendenti. Opera elettronica condensata in appena tre capitoli, così carichi di significati da lasciare sbalorditi.
Forse a molti non piacerà questo suo continuo sperimentare, questo mettersi alla prova, costringersi al confronto (stesso motivo che l’ha spinto a diventare “quinto Sonic Youth”), ma è certo che al giorno d’oggi poche figure hanno il carisma e la capacità di affascinare che questo pazzoide distribuisce in così generosa dose.