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Alla fine, dopo tre ore di concerto, la cosa migliore rimarrà la scelta dei brani d’accompagnamento durante l’allestimento del palco, con gli Husker Du e soprattutto la meravigliosa “Teen Age Riot” dei Sonic Youth.
Poi, per primi, salgono sul palco i Mercury Rev. I sei uomini di Buffalo sfornano una dopo l’altra le canzoni, tutte o quasi a partire da “Deserter’s Song” l’album che li lanciò nel 1998 come autori di musica pop con incredibili aperture orchestrali dettate da strumenti come il mellotron, gli archi e i fiati, tutti condensati dal synth e dalle tastiere. Musica dolce e piena di melassa, quella che viene proposta, anche troppo. Manca l’energia dei primi album, manca il rumorismo, manca anche in fondo la magniloquenza degli ultimi anni. Non che i ragazzi suonino male, ci mancherebbe altro, e sicuramente il loro è un suono piacevole e ricercato, ma alla lunga rischiano veramente di stancare, portando all’estremo la dolcezza.
Rimane solo l’acuto finale, ricordo degli esordi, ricordo di una propensione musicale che ormai sembra decisamente estranea al DNA della band. Il pubblico comunque in buona parte gradisce, gli accendini si accendono ad ogni singhiozzo del cantante, gli amanti si baciano ad ogni luce rosa che spara da dietro il palco (splendida comunque la scenografia). Escono, la sensazione è di soddisfazione non totale, manca qualcosa, manca il rumore, l’energia, che comunque un concerto deve in qualche modo sprigionare.
Un concerto troppo incastrato sulle tinte leggere, le canzoni più energiche (“Male di miele” e “La verità che ricordavo”) vengono liquidate in pochissimo tempo, “Germi” viene quasi completamente dimenticato e lo stesso è per quel capolavoro di “Hai paura del buio?”. Ma la cosa più deludente è proprio la scaletta: brani buttati così, a caso, senza un nesso logico, senza un ché di poetico. La meravigliosa “Ritorno a casa”, letta da Manuel Agnelli, si perde nel nulla perché il mixer non dosa bene la voce. Un concerto scadente, mediocre, il più brutto concerto degli Afterhours che abbia mai visto (e ne ho visti!). Un peccato, perché le canzoni nuove dal vivo reggono bene (soprattutto “Bye Bye Bombay” e “Bungee Jumping”) e perché comunque gli Afterhours, se solo si fossero dedicati un po’ di più alla causa, avrebbero sfornato un concerto capolavoro, come fu quello del novembre ’99 sempre al Palacisalfa. Peccato.