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Il contributo di David Gilmour nei Pink Floyd è sempre stato fondamentale, la sua chitarra un marchio di fabbrica giustamente adorato dai fans. Tuttavia il buon David, sornione e sorridente, è sempre stato l’antitesi del cupo Roger Waters: quest’ultimo era il responsabile dei feroci testi e “concept” che servivano da canovaccio per le evoluzioni strumentali di David e degli altri. Nel 1985 Gilmour, assieme al batterista Nick Mason, strappa all’acido Waters (il quale considera la band finita con il delirante “The Final Cut”) il diritto di continuare a fare dischi sotto il glorioso nome di Pink Floyd: riuscirà a fare tutto da solo?
Dave ce la mette tutta: due anni di lavorazione, tecnologia all’ultimo grido, uno stuolo impressionante di collaboratori e ospiti eccellenti. Ci sono Richard Wright reintegrato alle tastiere, Tony Levin al basso, Tom Scott al sassofono, Jim Keltner e Carmine Appice alla batteria (rendendo quasi superfluo Mason), mentre sono coautori di alcuni brani il Bob Ezrin di “The Wall”, Phil Manzanera dei Roxy Music e addirittura il “madonnaro” Pat Leonard: tutto e tutti per confezionare un prodotto che suoni il più “Pinkfloydiano” possibile, magari con qualche ritocco e ammodernamento per il gusto degli anni ’80.
Il risultato (l’inganno?) sembra inizialmente buono: le note di apertura di “Signs of Life”, sintetizzatori d’atmosfera che emergono da un tappeto di suoni e voci, chitarra alla “Shine On…”, sono quanto di più floydiano si potesse immaginare. Già con il secondo brano, il singolo “Learning To Fly”, le cose funzionano meno: gli arrangiamenti pomposi e troppo ingombranti, l’abbondanza di coriste eccedono in senso pop-patinato, cosa ancor più accentuata nell’altro singolo “One Slip”. L’andatura marziale e minacciosa di “Dogs Of War” sembra voler recuperare le atmosfere di “The Wall”, in parte riuscendoci, ma qui si sente la mancanza di Waters per via di un testo opaco e un po’ qualunquista. “Yet Another Movie” è un esperimento di aggiornamento del suono floydiano, piuttosto riuscito: lento e pesantemente scandito, vede lunghi feedback di chitarra sposarsi con tastiere all’ultima moda, anche se l’impressione del plastificato è sempre dietro l’angolo. “Sorrow” è fondamentalmente una palestra per gli esercizi chitarristici di Gilmour, mentre l’inutile “A New Machine”, che dovrebbe essere inquietante ma riesce solo a essere noiosa, e l’anonimo strumentale “Terminal Frost” non aggiungono molto. Il brano più riuscito dell’album resta forse la ballata umanitaria “On The Turning Away”, una sorta di seguito ideale di “Us And Them” che convince senza troppe riserve.
Certo, la chitarra di David è sempre lei, e si sente: ma non saprei se questo basti a fare un disco “dei Pink Floyd”. Probabilmente “A Momentary Lapse Of Reason” è più un disco di “David Gilmour & Friends”, che cerca di centrare il doppio obiettivo di sembrare un disco dei Pink Floyd e di risultare facilmente digeribile alle classifiche dominate dai Duran Duran e Madonna: qua e là i risultati non sono male. Questo album ha comunque un pregio: quello di aver fatto conoscere il nome dei Floyd a una nuova generazione di ascoltatori, che, digiuna dei capolavori della band, scoprirà poi anche “The Dark Side Of The Moon” e compagnia bella.