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Un album intimo e raffinato, opera di una cantautrice di grande sensibilità che parla di sentimenti con semplicità e tatto; ma anche una perfetta macchina da classifica, un disco in grado di imporre la propria dittatura sulle radio e fare a pezzi le top ten. Ecco, “Tapestry” di Carole King è tutte e due le cose assieme. Già in questo equilibrio c’è la grandezza di questo album.
Nel 1971 Carole King è quasi un’esordiente come artista solista (ha all’attivo solo “Writer”, snobbato dal pubblico) ma è già un’autrice di grande successo: in coppia con l’ex marito Gerry Goffin ha scritto fin dai primi anni ’60 per Aretha Franklin, i Monkees e molti altri; ragazzina prodigio dalle molte amicizie ed amori (Paul Simon, James Taylor, Neil Sedaka che nel ’59 le aveva dedicato la celebre “Oh! Carol”), arriva alla soglia dei trent’anni con un grande bagaglio di esperienze e successi professionali, ma senza aver mai assaggiato la grande fama presso il pubblico, anche a causa di una forte paura del palcoscenico.
Per “Tapestry” Carole si vuole giocare il tutto per tutto, cominciando con il riappropriarsi di alcune delle sue canzoni più celebri: “You’ve Got A Friend”, portata al successo da James Taylor, “(You Make Me Feel Like) A Natural Woman”, resa celebre da Aretha Fraklin e “Will You Still Love Me Tomorrow”, cantata dalle Shirelles. Alcune “furbe” concessioni alla logica promozionale, ma il risultato le giustifica ampiamente. Del resto, l’album cancella ogni dubbio sulla genuinità dell’ispirazione: perché “Tapestry” ha la forte personalità e la coesione di un’opera veramente cantautorale, intimamente connessa con la personalità dell’artista.
Sono proprio i nuovi brani, scritti appositamente dalla Carole autrice per la Carole interprete, a fare breccia nelle orecchie e nel cuore: si va dal pop/rock movimentato di “I Feel The Earth Move”, al vibrante soul di “Way Over Yonder”, alla dolcezza pianistica di “So Far Away” o della title-track. In tutti i brani, corredati da arrangiamenti asciutti e discreti, la spina dorsale resta il pianoforte e la voce di Carole: proprio quella voce limpida e acuta, che poteva sembrare troppo educata, si sa animare e colorare di impreviste sfumature, come nella sarcastica “Smackwater Jack” o nella già citata, superba “Way Over Yonder”. Carole vince la sfida della ribalta, dimostrando di essere un’interprete autentica oltre che una ottima autrice, pienamente all’altezza delle proprie canzoni. Del resto le sue doti di autrice non sono mai state così brillanti: una scrittura leggera e assieme efficace, che sa impreziosire brani pop con disarmanti virate jazzistiche.
Come abbiamo detto, l’album fu un immediato, clamoroso e meritato successo, e lo fu anche per la sintonia con gli umori di un epoca. Molti hanno detto che “Tapestry” era la colonna sonora ideale per il doloroso risveglio dagli anni ’60 e la fine del sogno hippy: Carole, più rassicurante di un Neil Young o una Joni Mitchell, cullò milioni di persone ricordando loro che, anche nei momenti peggiori, “avevano un amico” che sarebbe corso in loro aiuto.
“Tapestry” è uno dei rari casi di “blockbuster con l’anima”, testimonianza di un’età dell’oro in cui era possibile essere “easy” senza essere scemi o insipidi. E ancora oggi ci sono molte ragazze, da Sheryl Crow a Jewel, da Tori Amos a Alanis Morissette, che devono qualcosa a Carole e al suo pianoforte.
Nota: l’edizione su CD del 1999 comprende l’inedito “Out In The Cold” e una versione dal vivo di “Smackwater Jack”.