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La meritoria ARC Music Production, casa discografica inglese specializzata nella pubblicazione delle più svariate musiche tradizionali di tutto il mondo, dall’Islanda alle Isole Fiji, ha ripescato questa straordinaria registrazione del 1976, tratta da due esibizioni tenutesi in due siti in Svizzera, nella chiesa di Cully ed al Chateau d’Oex. Eccezionali protagonisti dell’evento: Marcel Cellier, Dumitru Farcas ed il suo stupefacente taragot.
Presentiamoli dunque nell’ordine. Cellier nasce a Zurich nel 1925, a sei anni comincia a suonare il violoncello, dieci anni dopo passerà in rassegna tromba, trombone e clarinetto, per poi approdare alla maestosità dell’organo. Negli anni ’50 comincia a viaggiare per lavoro nell’est europeo, particolarmente in Romania, dove scopre un interesse molto forte per le melodie locali. Entrando in contatto con glorie del posto come Gheorghe Zamfir egli affina le capacità di arrangiamento dei traditionals, arrivando infine all’incontro con l’indiscusso maestro di taragot, Farcas appunto.
Dumitru è figlio di contadini, all’età di 14 anni diventa allievo della Cluj-Napoca Music School e comincia ad applicarsi su flauto, contrabbasso e oboe. Sebbene studiasse quest’ultimo strumento, la sua preferenza assoluta andò verso il taragot, che imparò a suonare da autodidatta, nel più autentico spirito folkloristico.
Ma che cos’è il taragot? Intanto è uno strumento a fiato, con un suo unico e meraviglioso timbro. Per semplificare potremmo definire il suo suono come un incrocio tra clarinetto, oboe e sax soprano. Esso apparve in Europa attorno al tredicesimo secolo, nei balcani e nella penisola iberica. L’origine è turco-iraniana e proprio i giannizzeri ottomani lo esportarono (chiamandolo “zurna”) durante le loro scorribande. Col passare dei secoli, e dei popoli, diventò un tipico strumento ungherese e cambiò nome in “tarogato”, praticamente uguale a quello odierno. Le vicende storiche collocarono la vecchia Transilvania ungherese sotto il dominio rumeno, da qui la spiegazione di come il più grande virtuoso di taragot sia della terra del vecchio e terribile Ceausescu.
Fare venire alla luce, dopo 25 anni, questo meraviglioso duetto è stata indubbiamente idea geniale. L’album sprigiona un fascino arcano e misterioso, fin dalla prima nota emessa. Il suono è puro, fino a farsi quasi luce. Merito del tappeto di intimità e misticismo dell’organo di Cellier, ma soprattutto del timbro celestiale e contemporaneamente forte e potente del “tarogato”. Ascoltare le invenzioni pirotecniche di Farcas equivale ad immergersi in un mondo pieno di suggestioni, a volte gioiose come certe feste campestri, altre volte sinistre ed inesplicabili come impenetrabili boschi transilvani. Su tutto l’incanto e la magia delle terre dell’est europeo, del loro essere lande di passaggio e di conquista, enormi spugne imbevute nel caos primordiale delle razze. A saperle strizzare, qualche volta escono cose come questa, contaminazioni spesso anche non volute che si evolvono fino a diventare nuove e straordinarie forme di espressione.