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Preceduto da entusiastiche critiche da altrettanto entusiasti recensori britannici, arriva in Italia “28”. Jont è un cantautore con una gavetta piuttosto lunga, fatta di concerti per sette/otto persone annoiate od esibizioni come busker in qualche strada affollata della capitale inglese. Grinta ed un repertorio di canzoni niente affatto banali riescono a tirare fuori l’artista dall’anonimato; il suo nome comincia a circolare nell’ambiente e d’un tratto quelle sette/otto persone si moltiplicano per 30 o 40, e per giunta non paiono assolutamente annoiate.
Jont ha prima di tutto una bella voce, calda e duttile, che spazia tra ruvidità alla Weller e falsetti lontanamente parenti di quelli siderali di padre e figlio Buckley. L’autore ventottenne (una certa autocelebrazione non guasta) si inserisce con discreto titolo in quella corrente un po’ malinconica che gode di buon successo al di là della Manica: le melodie crepuscolari dei Coldplay ed i bozzetti di David Gray possono considerarsi buoni punti di riferimento. Ciò che differenzia il Nostro dai suoi contemporanei e conterranei è la radice della melodia: qui, oltre la brughiera inglese, si intravede già la costa atlantica statunitense. Così il suono a volte diventa più aperto, arioso, ottimista, pur sfiorando in alcuni casi il mainstream più deteriore e FM.
“28” è un disco discreto, con alcuni pezzi che si staccano per qualità compositiva ed interpretativa. Le prime due tracce promettono molto in questo senso: “When the time comes” è davvero bella, un riuscito concentrato a metà tra Weller e Mother Earth, una sorta di acid soul bianco di gran classe. “Ellen Macarthur” è un’ottima ballata, cantata con passione, e fatalmente colpisce. Da “Splendour”, un’altra ballad comunque piuttosto centrata, si ha già la sensazione che il lavoro non possa dare più di tante sorprese, e questa sensazione è purtroppo confermata dall’ascolto delle restanti tracce. Niente di obbrobrioso, niente che faccia saltare dall’eccitazione, ma una costante aria gradevole che può accompagnare qualche pomeriggio assonnato. L’originalità sta da un’altra parte, o almeno la si può intravedere in quei due primi pezzi. Auguriamo a Jont di perseverare lungo quell’interessante e più difficile strada.