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Circondata da uno stuolo di musicisti che comprende anche un flautista e tre coriste, e soprattutto osannata e adulata dal pubblico, Erykah Badu sale sul palco elegantissima, con la faccia nascosta dietro un enorme cappello, avvolta in piume di struzzo. Mostra subito di essere un’intrattenitrice formidabile, perché in possesso di quel magnetismo che le permette di ammaliare il pubblico e portarlo per mano per due ore intere. Danza leggera, si agita sul palco e alza le braccia al cielo, scherza con i musicisti riprovando il finale di una canzone, si muove come solo i veri artisti riescono a fare.
Dal distendersi languido di “Cleva” con cui dà il via al concerto, interpreta la propria musica con libertà, allunga i brani e ci gioca, ne tira fuori la sostanza. E illumina ogni canzone di una luce nuova con la sua voce straordinaria, in grado di essere allo stesso tempo sottile e potente.
Certo, c’è molta energia in quello che fa, soul e rhythm and blues più fisici rispetto ai dischi, come dimostrano “Other Side Of The Game”, l’infinita versione di “Next Lifetime” offerta nei bis oppure la torrida “Penitentiary Philosophy”, o ancora la chiusura con la splendida “Bag Lady”. Ma non dimentica le atmosfere più raccolte. Così si appoggia la chitarra acustica sulle gambe e si accompagna in “A.D. 2000” e poi sotto le luci basse sfodera i languori jazz della splendida “Orange Moon”. E poi danza con un’eleganza impareggiabile sulle note cariche di sensualità di “Kiss Me On My Neck”. Il pubblico non può fare nient’altro che restare ammaliato dai suoi movimenti e dalla sua voce, dal suo fascino sconfinato.
Perché ascoltare una dopo l’altra, legate e fuse in unico brano, “On and On” dal suo esordio “Baduizm” e “… & On” da “Mama’s Gun”, prima piene di atmosfera e poi sferzate dalla sua energia, resta uno di quei momenti che è difficile dimenticare. Come del resto tutto il concerto.