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Eccoci qua a commentare l’ennesimo capitolo della saga Van Morrison, eterno cantante irlandese che fin dalla metà degli anni ’60 regala agli appassionati, con scadenze molto regolari, la sua impareggiabile voce al servizio di melodie spesso indimenticabili.
Nella scorsa decade l’irascibile Van The Man fu assalito da una sorta di depressione ed amarezza verso il mondo contemporaneo, e ciò si estrinsecò in albums piuttosto cupi come “Days like this” ed il più lontano – ed anche più riuscito in verità – “Hymns to silence”. Questo suo allontanamento psicologico si riflesse anche su vendite non eccelse. Per fortuna sua e nostra, egli risorse con forze lucidate a nuovo con “Back on top”, uscito nel 1999, di nuovo speranzoso e pieno di fede nella vita e nel prossimo, forse incoraggiato dall’epocale cambio di millennio.
“Down the road” arriva a tre anni di distanza dal suddetto “Back on top”, un tempo riempito con collaborazioni importanti e diverse tra loro (“You wim again” in duetto con Linda Gail Lewis, “The skiffle sessions” coi vecchi amici della hometown Belfast, Lonnie Donegan e Chris Barber, live davvero da consigliare).
Il Van Morrison 2002 non mostra certo grandi novità nello stile, ma d’altra parte sarebbe difficile aspettarsi tutto ciò da un artista che ha votato la sua esistenza all’R&B, al soul, al folk. Alcuni suoi riferimenti vengono enfatizzati nella splendida copertina, raffigurante la vetrina di un negozio di dischi, dove si espongono opere di artisti blues, rock & roll, jazz, R&B. Lì c’è gran parte del mondo del red irish e da lì egli attinge le forze per ritornare sempre a proporre la sua eterna canzone, sempre leggermente diversa, sempre emozionante e piena di pathos.
Il nuovo ottimismo di Morrison si basa su un passato lucente e gigantesco; egli come al solito si abbevera alle fonti della musica giovane di questo secolo, spaziando dagli stili suddetti fino al country conosciuto ed amato nel suo lungo soggiorno negli Stati Uniti (“What makes the irish heart beat”). Ci piacciono molto anche “Meet me in the indian summer” e “The beauty of the days gone by”, mentre incuriosisce “Whatever happened to PJ Proby?”, nella quale Van prova ad identificarsi con quell’artista inglese molto famoso nei primi anni ’60, da tempo immemore dimenticato. Il tempo comincia a passare anche per il Nostro Beneamato e qualche paura forse può insinuarsi anche in uno spirito ribelle come il suo.
Se lo standard qualitativo rimarrà quello di “Down the road”, crediamo che Morrison non abbia di che preoccuparsi e che comunque la sua carriera lo abbia designato come tra i più grandi artisti della seconda metà del ‘900, da quando quel tale Bill Haley ebbe la bella pensata di presentarsi con una canzone chiamata “Rock around the clock”.