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Sostituito Hammond-Hammond con John Glascock, i Tull confezionano un album di semplice routine, che trae spunto da un fallito musical sulla vita di Anderson.
David Palmer prende pesantemente piede negli arrangiamenti e il suono perde in caratterizzazione e vitalità, subisce una sorta di ‘normalizzazione’. In effetti, ascoltando “Too Old…”, viene fatto di pensare che il titolo rispecchi il contenuto: vale dire che, una volta esaurita l’ispirazione più genuina, era forse arrivato il momento per il grintoso Ian di chiudere bottega e ritirarsi, come Hammond-Hammond, ad una dorata vita privata.
Sebbene la band sia riuscita a sopravvivere fino ad oggi a livelli quasi sempre accettabili, è innegabile la sensazione che proprio questo disco costituisca lo spartiacque fra epoca ‘eroica’ ed epoca ‘umana’: nella prima si utilizza, per le costruzioni, materiale nuovo e originale; nella seconda invece si ricorre al metodo dello spoglio, riciclando cioè in vario modo quanto si ha già comodamente a disposizione.
Dalla generale piattezza emergono (si fa per dire) brani come “Quizz Kid”, il rock-blues “Taxi Grab” e le riminiscenze folk di “Pied Piper”. In generale sembra comunque di ascoltare una versione di largo consumo dello stile Tull, adatto per il pubblico più vario. Alla frutta si arriva con la title track, quasi intollerabile nella sua facile e supponente magniloquenza autocompiaciuta, scandita da un pesante ritornello: quando poi arrivano i terrificanti ottoni ‘palmeriani’ da musical e il coretto di contrappunto alla Demis Roussos si può dire che la fossa sia bell’e scavata.
A seppellire l’illustre agronomo ci prova la conclusiva “The Chequered Flag” con la quale, ormai snaturate le radici della band, siamo in pieno musical con accompagnamento quasi esclusivamente orchestrale. Anche il canto, in “Too Old…”, è quasi sempre stucchevole o torpido, senza quei buoni momenti che pure erano presenti in “Minstrel…”.
Un album quasi senile, davvero trascurabile.