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Era il ’98: un campionato del mondo dopo quell’alienante tournee
(correvano i tempi di “T.R.E.” e di un pubblico ormai troppo generalista…), ritornano i C.S.I., pardon i PGR, forti di un nuovo disco, deboli per la defezione di un loro componente storico e rispettosi di una cicogna in arrivo…
I casi sono due. Gruppo in crisi d’identità per l’ inaspettato successo raggiunto decide di sciogliersi e (dopo un greatest-hits ed una necessaria pausa di riflessione) di ricominciare sotto un’altra identità pubblicando un album di – perdonatemi la brutta definizione… – “etno-ambient”. Oppure, “così vanno le cose, così devono andare” e trovare una spiegazione razionale all’ ennesima metamorfosi del Consorzio Suonatori Indipendenti, attualmente PGR (acronimo di “Per Grazia Ricevuta”) ed ancor prima C.C.C.P. (ma erano i tempi degli Assiri o dei Babilonesi…) è impresa ardua come descrivere concetti tipo Amore, Sesso, Comunismo o Arte.
Fatto sta che per me le due plausibili spiegazioni pari sono; ma, parliamoci chiaro, perché diciotto euro sono pur sempre diciotto euro: “PGR“, nove canzoni (canzoni?!), confezione spartana ed un poco “arty”, booklet praticamente inesistente, non è un disco facile. Un album, forse per merito del produttore Hector Zazou, sempre in bilico tra ricerca e tradizione. Se siete fervidi di fantasia, immaginatevi un misto di De Andrè periodo “Creuza de ma” e Transglobal Underground, Battiato e Tortoise, “Linea gotica” e Boards of Canada. Sopravvissuti? Ok, allora lasciatemi aggiungere che l’opera in sé è anche parecchio affascinante in vista delle sue future “applicazioni teatrali”. Ma per quelle ci sarà da aspettare l’anno venturo, ragion per cui non potevo permettermi di perdere l’occasione di dialogare fin da ora con un loquace Giovanni Lindo Ferretti (voce) e con un Gianni Maroccolo (basso e synth) in versione “quiet-one”, incontrati in un uggioso pomeriggio di maggio milanese.
La domanda suonerà un po’ scontata, ma com’è andata esattamente questa volta?
Giovanni: “Io non avevo voglia che nascesse questo disco! O perlomeno, non così in fretta… La nostra fine come C.S.I. era ancora fresca ed io, obbiettivamente, necessitavo di più tempo. Ma quando hai la fortuna di far musica con grandi artisti come Giorgio (Canali, chitarra), Francesco (Magnelli, tastiere) o Gianni, non puoi pensare di stare troppo tempo inattivo. Loro sono sempre lì, presi a suonare e, mentre io meditavo sugli attriti con Massimo Zamboni (il chitarrista storico fin dai tempi dei C.C.C.P. ed il “grande assente” dei PGR, ndr), Giorgio e Gianni stavano già esercitandosi per depurarsi dai C.S.I. mandandomi dei “demo” con il risultato dei loro sforzi…”
Poi, estate del 2001, capita un evento imprescindibile per voi non ancora PGR; vero?
“Esatto, quando si dice la casualità… Dovevo mettere in piedi con pochi mezzi una serata in onore di Don Dossetti a Montesole, sull’appennino emiliano. Ed anche se mi rivolsi agli ex-C.S.I. per organizzare il – chiamiamolo – “concerto”, ci accorgemmo tutti quanti che la situazione era drasticamente mutata: non c’era più la batteria, il pianoforte era tornato protagonista, la musica era quasi impercettibile da quanto era poco amplificata, niente luci da palco ma ceri, io che, più che cantare, recitavo… Però in compenso venne tantissima gente scarpinando su per il monte. Bene, tre ore dopo la serata era finita ma allo stesso tempo era ricominciato qualcosa d’altro…”
E’ vera la leggenda che “PGR” nasce come disco strumentale arricchito solo in un secondo tempo dall’intervento vocale di Giovanni?
Gianni: “No, nella maniera più assoluta. Il disco è nato dopo Montesole e lì Giovanni, anche se convalescente e dedito alla lettura di preghiere, era di nuovo della partita”.
E’ risaputo che nel tuo stereo passino pochi ma buoni cd: cosa ti ha entusiasmato durante le registrazioni con i PGR?
Giovanni: “Pochi è sicuro, buoni è un azzardo… Comunque a livello di ascolti sono ancora fermo alla colonna sonora di “Himalaya”, un disco che mi ha emozionato tantissimo. Non ascolto musica in generale ed ancor meno quando registro”.
Mentre i Subsonica fanno duecento date all’anno, sul vostro sito sta scritto che per i PGR di tour non se ne parla fino a gennaio 2003: chissà come saranno stati contenti quelli della vostra casa discografica ad apprendere la notizia…
Giovanni: “Lo so che sembra una scelta anti-commerciale, ma fa parte dell’essenza dei PGR agire così. Perché questa non è una reunion e non ci sono tappe obbligate da seguire. E poi, quelli di gennaio non saranno concerti tradizionali ma “pieces” teatrali, con al massimo musica inedita oltre ai nove brani del cd, ma con nessun rimando a C.S.I. o C.C.C.P. Io ho altro da fare adesso e Ginevra (Di Marco, voce) ha avuto un bambino, Jacopo, da otto giorni. Avrà pure il diritto di allattare questo bimbo in santa pace, no?”
Nel primo brano “Krsna Pan Miles Davis e Coltrane” compare Piero Pelù ma, fortunatamente, non fa il “Piero Pelù”…
Gianni: “Infatti, più che cantare, fa strani versi ma, per i soliti problemi di copyright, abbiamo dovuto segnalarlo nei crediti tramutando ciò che era nata come una bella storia in quel di Parigi – dove l’album è stato in parte registrato – in una fastidiosa questione di marketing…”
Se uno ascolta “Tramonto d’Africa” inevitabilmente pensa a De Andrè e, forse, a quanto sarebbe stato orgoglioso di avervi tramandato la sua lezione…
Gianni: “Ora come ora, purtroppo, si può affermare solo il contrario, cioè di quanto siamo orgogliosi noi di essere accostati all’opera di Faber…”
Vi siete accorti che, oltre a Neil Young ed ai Gorillaz (!!!), siete stati fra i pochi finora a scrivere un brano ispirato all’11 settembre?
Giovanni: “Ho avuto molta paura e pudore ad accostarmi a quell’argomento, come già mi accadde quando cantai della guerra in Jugoslavia, finchè non ho trovato le parole che ritenevo più adatte e congeniali…”
Pubblicando un disco del genere, quanta distanza artistica sentite dai vostri colleghi italiani?
Gianni: “E’ che non crediamo nell’omologazione, appena le cose tendono a ripetersi, le chiudiamo e basta come è successo col Consorzio. Non è un tentativo di sfidare gli altri o di prenderne la distanze”.
Esigete rispetto da chi si avvicina alla vostra musica?
Giovanni: “Bè, innanzitutto esigiamo rispetto come persone. Persone che fanno il loro lavoro. Perciò non capisco dove stia il problema. Se uno vuole fare casino è stupido che venga a farlo dove suoniamo noi. Stia a casa, vada altrove…”
Vi vidi sul palco ancora come C.S.I. ai tempi di “Tabula Rasa Elettrificata” in un’alienante struttura che non c’entrava nulla con voi: troppa gente, grida, spintoni e poca concentrazione per ciò che suonavate. Insomma, sono stati quei maledetti palasport, nella primavera del ’98, ad “uccidere” i C.S.I.?
Giovanni: “Io non me lo ricordo quello show perchè, come per tutti gli altri, cantavo con una corda della Mongolia calata sugli occhi…”
Gianni: “Mi ricordo che quando me ne andai dai Litfiba, alla vigilia di “El diablo” e del loro exploit commerciale, il mio povero babbo mi diede del grullo. Quando riaccadde circa dieci anni dopo, con i C.S.I. in fase di stallo dopo quell’esperienza dei palasport, venne da me e mi chiese scusa. Il punto è: perché dopo essermene andato da un gruppo di successo, ci ricascai con un progetto immacolato come quello del Consorzio? Perché ero come quel bambino a cui si intima di non mettere le dita nella presa della corrente e lui regolarmente…lo fa!”
PGR: dopo lo shock, finalmente un po’ di quiete. Eh già, Jacopo, era proprio questo il momento giusto per arrivare…