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Cento minuti dolci e amari, rabbiosi e fastidiosi. L’esibizione genovese di Manuel Agnelli e dei suoi Afterhours non ha deluso le attese. Purtroppo a guastare in parte il concerto della band milanese, è stata l’amplificazione del palatenda della Festa dell’Unità, che ha reso indecifrabile soprattutto le parti vocali dello spettacolo, con evidente disagio per il pubblico assiepato poco distante dal palco.
Problemi tecnici a parte, l’esibizione offerta da Agnelli & soci è stata all’altezza delle aspettative. La band milanese ha proposto un buon mix fra canzoni vecchie e recentissime, un eccellente suono, ed ha confermato una naturale attitudine per il live act. Anche il set di luci messo in scena non ha deluso: nulla di originalissimo, per carità, comunque molto efficace nel complesso.
Tante le canzoni proposte dal quintetto milanese, arrivato a Genova con la formazione abituale: basso, batteria, violino, due chitarre. Fra le canzoni meglio eseguite: “Male di miele” e “Rapace” – entrambe proposte in una chiave più che mai energica e rabbiosa. Purtroppo la pessima acustica non ha permesso di godere a pieno i momenti “soft” dello spettacolo: canzoni come “Quello che non c’è”, “Pelle” e “Voglio una pelle splendida” sono scivolate via trasmettendo sì emozioni, ma non trasmettendo quelle che potenzialmente avrebbero potuto dare.
Un discorso a parte lo merita l’esecuzione di “Dentro Marilyn”, brano storico della band, che Agnelli a Genova ha stravolto a tal punto da renderlo quasi irriconoscibile rispetto all’originale. Deludente anche l’interpretazione: poco convinta e senza mordente.
L’esecuzione di “Dentro Marilyn” è stato l’unico passaggio a vuoto per Manuel Agnelli, che sul palco genovese ha sorpreso per energia e per sobrietà. Chi si attendeva parole, discorsi o moniti da parte dell’artista milanese sui più disparati argomenti, alla fine è rimasto deluso: Agnelli sul palco si è limitato a suonare ed a ringraziare il pubblico come un ragazzino alle prime armi. Niente battute dissacranti: solo musica ed un brevissimo intermezzo dedicato al “reading”, introdotto con molta eleganza: “…per la lettura di questo testo, gradirei il silenzio per piacere…”.
Insomma, l’autore di uno dei libri più pungenti e crudi degli ultimi anni (“Il meraviglioso tubetto”), la scorsa sera ha dimostrato di “vivere” il palco con molta serietà e senza particolari eccessi. Forse non raggiungerà mai i livelli creativi di Trent Reznor dei Nine Inch Nails (artista al quale assomiglia moltissimo on stage), ma nel suo piccolo, Agnelli, è oggi più che mai un compositore nel pieno della sua maturità artistica.