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I tormentoni estivi sanno essere terribilmente fastidiosi, si sa; due anni fa “Rome wasn’t built in a day” fu una piacevolissima eccezione, anche se quella canzone e il rispettivo album, “Fragments of freedom”, lasciarono parecchio delusi i fan della prima ora.
Dopo due estati esce “Charango”, quarto episodio nella discografia dei Morcheeba, e segna un ritorno alle sonorità a cui il trio ci aveva abituato: suoni morbidi in odore di trip-hop, qualche chitarra blues qua e là e la splendida voce jazzy di Skye. Un ritorno al pur recente passato che sembra parecchio prudente, quasi a non voler scontentare i vecchi fan. “Charango” contiene canzoni di gran classe, è molto piacevole da ascoltare ma non offre nulla di nuovo, e a tratti sembra di ascoltare una seconda versione di “Big calm”, il loro bell’album del 1998.
E dire che il disco non inizia affatto male: “Slow down” è perfetta, la band gioca da subito le sue carte migliori, la voce sensuale di Skye si adagia su un semplice giro di accordi vagamente blues e sussurra “when the day is through/ all you got to do is slow down”, quasi ad anticiparci il contenuto del resto dell’album. “Otherwise” ha il compito di replicare il successo di “Rome wasn’t built in a day”, anche se è meno sfacciatamente festaiola (molto bello e divertente il video realizzato da Shynola).
Man mano che si ascolta il disco ci si rende conto però di come il suono diventi prevedibile e ripetitivo: qua e là si aggiungono sonorità brasiliane, alcuni vocoder e qualche moog a ricordare da vicino gli Air di “Moon safari”, ma in generale le canzoni di “Charango” non si discostano mai da quello che è diventato il riconoscibilissimo sound del trio. Alla fine del disco l’unica canzone che si fa ricordare è il bellissimo duo con Kurt Wagner dei Lambchop, “What New York couples fight about”: un giro di chitarra semplicissimo, le voci si intrecciano in una melodia languida e affascinante.
In definitiva, non un brutto disco, anche se si ha la netta impressione che il sound dei Morcheeba non si sappia staccare da una struttura che, dopo quattro album all’attivo, sta diventando decisamente troppo rigida.