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Terzetto australiano guidato dal ventiduenne Craig Nicholls, i Vines col loro album d’esordio sono stati immediatamente “arruolati” tra le file di coloro i quali hanno dato nuova linfa al rock’n’roll, al fianco degli Strokes, degli Hives e dei White Stripes. La stampa inglese li ha addirittura accomunati ai Nirvana, etichettandoli come “la band dal vivo più sbalorditiva del mondo”.
Seppur iperbolici questi accostamenti hanno la loro ragione d’essere, ma trascurano i limiti (specialmente nell’originalità) e la versatilità di questa rock band con evidenti influenze che vanno dal punk al grunge. Il singolo d’esordio “Highly Evolved”, un tiratissimo pezzo di appena 95
secondi, può riportare alla mente i Nirvana di “Bleech” e vale da solo (insieme al secondo singolo “Get Free”) l’ascolto dell’album.
Tuttavia il disco si presenta alquanto eterogeneo e quello che può sembrare un pregio (la capacità di saltare da un genere all’altro) in quest’occasione sembra essere più un difetto. I migliori brani sono infatti quelli che mantengono l’immediatezza e la rabbia del primo pezzo, “Outtathaway!” e “Get Free”, in cui una travolgente batteria e le chitarre distorte accompagnano la voce roca e potente di Nicholls.
Per il resto è un continuo mutamento di tono e stile con riferimenti più o meno velati: si passa da ballate piano e chitarra acustica (la straniante “Autumn Shade” e la malinconica “Homesick”) a pezzi che schiacciano l’occhio al pop e lasciano un po’ perplessi (“Country Yard” e la stancante “Mary Jane”) fino a una giocosa canzone ska (!?) decisamente fuori luogo (“Factory”).
L’album riprende quota con “In The Jungle” che attraverso una ripetitiva linea di basso e un testo urlato a pieni polmoni ci riporta in territorio rock-grunge e con “Ain’t No Room” che poggia su un coinvolgente riff di chitarra e si conclude con una “1969” dalla durata di molto superiore rispetto alla media dell’album con pretese (non appieno soddisfatte) di psichedelia.
In definitiva un album che lascia intravedere buone potenzialità al di là delle esagerazioni dei media: 43 minuti di musica, forse non originale, spesso piacevole, a tratti entusiasmante. Sicuramente non un disco epocale, ma da inserire tra i più energici del 2002.