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L’ultimo lavoro in studio dei CCCP è un testamento musicale di raro spessore. Simbolica la cover che mostra il salone di un casolare abbandonato con i vari strumenti, senza musicisti. Simbolica perché ribadisce l’importanza predominante della sostanza sulla forma, sull’apparenza, e perché mostra senza possibilità di equivoci la nuova strada intrapresa dalla band.
Innanzitutto la line-up è completamente stravolta: scompaiono dalla scena Chiapparini e Orlando e prendono il posto in “squadra” Gianni Maroccolo (basso), Francesco Magnelli (tastiere) e Giorgio Canali (chitarra). Maroccolo era anima indispensabile dei Litfiba (che con i CCCP aveva intrapreso una coraggiosa tournée in URSS) e lasciando la band fiorentina si porta via con sé il batterista Ringo De Palma, in seguito prematuramente scomparso.
In pratica assistiamo in diretta alla composizione dei futuri CSI. In secondo luogo i CCCP producono l’album in tempo reale, senza il peso della registrazione in studio, ma “suonando tutt’insieme nello stesso tempo”; questa tecnica, come quella di suonare in circolo, sarà una delle note distintive del futuro Consorzio (che registrerà “Ko De Mondo” in un casolare bretone, “Linea Gotica” in uno in Val d’Orcia e “T.R.E.” in un agriturismo nei pressi di Reggio Emilia).
A prendere le mani dell’operazione è da subito Gianni Maroccolo, a cui viene affidata la registrazione (insieme a Canali). L’album è il canto del cigno di un gruppo spiazzante, e si propone come concept album riassuntivo di un percorso artistico oramai decennale. I quattro capitoli in cui si divide il concept sono per l’appunto l’epica, l’etica, l’etnica e il pathos, ovvero le quattro componenti essenziali della musica della band.
“Epica” presenta da subito un capolavoro, “Aghia Sophia”, collage musicale dei più stranianti che parte come un’invocazione ecclesiastica di rara cupezza (“Tedio domenicale, quanta droga consuma. Tedio domenicale, quanti amori frantuma”), continua su una linea vicina alle intuizioni brechtiane di kurt weill grazie ad una fisarmonica, sprofonda nuovamente in una pausa di riflessione per poi esplodere in reminescenze d’avanguardia, musicarello napoletano e coro teutonico sull’incedere marziale della batteria. “Paxo de Jerusalem” e “Sofia” completano il capitolo con continui rimandi alla mistica e al folklore.
“Etica” è il capitolo più vario, a cominciare dalla distorsione ossessionante che accompagna “Narko’$” con stuolo ambientale di tastiere, per continuare con la profondità della voce di Fatur che celebra la ballata per pianoforte “Baby Blue” con un inglese minimale da antologia. Ma Etica è anche il luogo dove s’incontrano la pace acustica di “Campestre”, probabilmente il brano più disteso dei CCCP, e la riflessione per wah-wah e basso di “Depressione Caspica” (“Se l’obbedienza è dignità, fortezza, la libertà è una forma di disciplina”).
“Etnica” racchiude tutte le divergenti fonti d’ispirazione della band, riassumendo in rapida successione l’amore per il folklore italiano (“In occasione della festa”, tradizionale brano calabro per solo organetto), per il tango (la meravigliosa sedicente cover per tastiere e voce “Amandoti”), per la dissonanza (“L’andazzo generale”), per la musica orientale (“Al Ayam”), per le marcette militari e per la tarantella (“Mozzil’o Re”), per i canti popolari (“Appunti di un viaggiatore nella terra del socialismo reale”).
“Pathos” chiude l’album con quel riassunto dell’intero pensiero CCCP in 11 minuti che è “MACISTE contro TUTTI” e con il delicato e struggente canone di “Annarella”. Che chiudono l’esperienza CCCP e aprono idealmente l’avventura CSI. Il testamento dei CCCP è un capolavoro (un altro).