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Annunciati come i nuovi profeti del pop made in Britain, questi ragazzini non ancora ventenni di Leeds amanti del rock anni ’70 e spocchiosi come gli odiati Oasis, si presentano al pubblico di tutto il mondo con il loro primo lavoro, intitolato epigraficamente “The Music”.
Conosciutisi in ambiente scolastico, i quattro inglesini dal suono greve e dalla voce ipnotica, hanno vagabondato in Gran Bretagna fino all’incontro decisivo con i produttori della Hut Recordings (la stessa di Richard Ashcroft e Gomez) ai quali hanno strappato il loro primo contratto.
Anticipato in Italia dal singolo “The People” , “The Music” si presenta come un album lontano dai canoni a cui ci aveva abituato il pop d’oltremanica. Niente sproloqui acustici né riff intriganti, il punto di forza del gruppo britannico è nella voce impetuosa di Robert Harvey.
Accompagnato più che degnamente dalla chitarra dal suono psichedelico di Adam Nutter, dal basso didattico di Stuart Coleman e dal ritmo incalzante della batteria di Phil Jordan, è Harvey che detta i tempi. Voce potente, da molti paragonata ai primi estri virtuosi di Bono Vox, dosata alla perfezione in un crescendo di emozioni, splendidamente modulata in “People” e in “Take the long way and walk it”, intensamente celata prima e poi spiegata in “Dance”, brano che li avvicina alle sonorità dei Kula Shaker, altro gruppo inglese dal grande futuro “alle spalle” e soprattutto degli Stone Roses, guitar band inglese che porta sulle spalle tutto il peso di un genere poco e male rappresentato in Inghilterra.
“Human”, un omaggio ai maestri del rock progressivo e “Disco”, il cui attacco cerca di riprendere il gusto cupo e riflessivo dei maestri Doors, sono esempi di eclettismo che non è facile ritrovare in una band all’esordio.
“Turn out the light” che fa uso suadente di chitarra e voce, forse il pezzo dal più alto impatto emozionale, “Float”, “Truth is no words”, “Getaway” e “Too high” chiudono un LP di sicuro successo.
Lucenti interpreti delle sonorità moderne, rilette attraverso l’uso sapiente di voce e chitarra, i “The Music” si presentano come una band dal sicuro avvenire, forse una delle migliori produzioni del 2002.
Attesi al varco sul palco dell’Indipendent Days Festival a Bologna lo scorso 1° Settembre, hanno fatto rabbrividire i trentamila accorsi per Nofx e No use for a name, sapendo incantare anche un pubblico dal gusto musicale distante anni luce dal sound suadente della baby band.
Scommettiamo che ne sentiremo ancora parlare a lungo?