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Quando pubblica questo primo tassello della cosiddetta trilogia berlinese, David Bowie è già una leggenda del rock: ha scritto canzoni indimenticabili, ha impersonato l’alieno Ziggy Stardust e l’algido Thin White Duke e nel frattempo se l’è vista brutta con la cocaina. Il suo incontro artistico con un’altra mente fertile della musica contemporanea, Brian Eno, anch’egli già autore di dischi importantissimi, genera questo grande album, forse il più affascinante della suddetta trilogia, comprendente anche “Heroes” e “Lodger”. Nell’era del cd e di mp3 non esistono le “facciate” (o lati) A e B dei tempi del vinile; “Low” (ed anche “Heroes”) presentava appunto a quei tempi questa netta differenziazione di contenuti tra le due parti che lo componevano, con la prima costituita da canzoni e la seconda da composizioni a più ampio respiro, quasi interamente strumentali.
Quella che un tempo era la “facciata A” rappresenta una svolta notevolissima rispetto ai trascorsi di Bowie, anche se non del tutto inattesa: già in “Station to station” si ravvisano gli evidenti prodromi di una nuova, spettacolare, trasformazione artistica. La musica è “anche” elettronica, il sound è davvero nuovissimo, con il synth di Eno che si armonizza alla perfezione con la chitarra di Carlos Alomar; anche la batteria ha un suono particolare, inusitato. La voce è una della più belle tra le tante voci di Bowie, lontana anni luce da quella, stile “crooner” che funesterà alcune future prestazioni di David. La strumentale “Speed of life”, dal fascino arcano ed insondabile, l’inquietante “Breaking glass”, la stralunata “What in the world” con Iggy Pop ai cori, la splendida “Be my wife” e il resto del “lato A” hanno in comune la caratteristica di apparire nell’esposizione strumentale e nell’impostazione vocale fredde e distaccate ma di risultare, in realtà, brani altamente evocativi che entrano nell’anima. E’ il fascino di una musica assolutamente nuova che riesce misteriosamente, tuttavia, a far affiorare nell’ascoltatore quasi dei ricordi archetipici.
E se questo è vero per quello che continueremo a definire “lato A”, lo è doppiamente per il celebre “lato B”. Cosa mai si può dire di quella “Warszawa” che nel 1993 diverrà peraltro il movimento più bello della “Low Symphony” che Philip Glass trarrà da questo straordinario disco (più tardi pubblicherà anche la “Heroes Symphony”)? “Warszawa è molto probabilmente uno dei momenti più alti della musica contemporanea, una vetta assoluta che consacra Bowie e Eno nell’Olimpo dei Grandissimi. Una composizione dolente, malinconica, che ha il respiro di una imponente sinfonia elettronica ( evidentemente Glass se ne è accorto), una melodia indimenticabile. La confutazione della tesi, campata in aria, secondo cui l’elettronica possa “disumanizzare” la musica. “Subterraneans” e gli altri gioielli del “lato B” prendono per mano l’ascoltatore conducendolo in un affascinante mondo di nuovi suoni ed atmosfere, un mondo talvolta inquietante ma sempre seducente.
In definitiva, un capolavoro assoluto, che chi continua a storcere il naso di fronte al Bowie “icona rock”, sminuendone ingiustificatamente la statura di musicista, dovrebbe andare a riascoltare…o ad ascoltare davvero per la prima volta.