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Giorgio Canali porta sulle spalle una storia ingombrante, quella che la sua sei corde ha contribuito a creare nel corso degli anni ’90: come dimenticare la sua chitarra disturbata, i suoi riff rugginosi che scuotevano le canzoni dei CSI?
Una volta terminata quella magnifica e rumorosa favola, è stato il momento dei PGR, deviazione verso un’elettronica-ambient irrisolta, debordante e a tratti stucchevole, con Canali decisamente in secondo piano nell’economia dei pezzi nuovi: solo in “Tramonto d’Africa”, non a caso uno dei momenti più alti di “Per grazia ricevuta”, la sua chitarra tornava a ruggire come ai vecchi tempi.
Anche per questo molti hanno salutato “Rossofuoco”, secondo album solista del Nostro, come uno sfogo, un modo per liberare tutta l’energia che la musica dei PGR gli ha richiesto di soffocare: un’impressione generale confermata da un live potente, rabbioso e con pochissime concessioni alla melodia.
Già la canzone iniziale, “La demarche des crabes”, cantata in francese, si abbatte sul pubblico netta e violenta come una coltellata; il suono che esce dalle casse assomiglia al volto di Canali, un animale braccato pronto ad azzannare: spigoloso, tagliente, un concentrato di rabbia ed energia sul punto di esplodere in qualsiasi momento.
Più che un concerto rock, una vera e propria aggressione a base di distorsioni, una voce che spesso si tramuta in urlo e sfoghi punk simili ai Noir Désir pre-“Des visages des figures” (“Coule la vie”, “Che fine ha fatto Lazlotòz”, il finale incendiario di “Testa di fuoco”), e se a volte la chitarra di Canali prova ad abbozzare una linea melodica, subito gli altri strumenti la circondano e la soffocano.
Non c’è stato un solo attimo di respiro, in questa ora e un quarto di visioni inquiete e di suoni durissimi. Musica distruttiva, affascinante, pericolosa. Come il fuoco.