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Mi capita spesso di chiedermi cosa in realtà nutra i musicisti provenienti dall’Islanda. I suoni che scaturiscono dai dischi di Björk, di Emiliana Torrini, dei Mùm e dei Sigur Ròs hanno un calore, un senso dello spazio, una capacità di far viaggiare la mente dell’ascoltatore, di richiamare colori e immagini davvero senza eguali: è come se, tramite la musica, questi artisti riuscissero a trasformare in suoni le suggestioni che la loro terra, tanto affascinante quanto ricca di contrasti, regala loro ogni giorno.
I Sigur Ròs, giunti al terzo album, continuano a dipingere trame dense eppure sottili, spingendo ulteriormente il loro suono al limite della rarefazione, della trasparenza, ancora più in là rispetto a quanto fatto in “Ágætis Byrjun”, l’album che due anni fa li fece conoscere al mondo: da allora tutti iniziarono a cercare paragoni con nomi di culto come i Godspeed You Black Emperor!, tutti a classificarli nel calderone del cosiddetto post-rock (termine ormai svuotato di ogni significato).
I quattro islandesi, comunque, erano e continuano ad essere una anomalia prodigiosa nell’ambito contemporaneo: nessuno come loro è capace di creare tanto spazio all’interno di una canzone; poca musica ha il potere di sembrare così spirituale come le loro lunghe suite rarefatte; e, soprattutto, in un’epoca in cui per farsi ascoltare tutti avvertono l’esigenza di urlare, nessuno come i Sigur Ròs ha il coraggio di fare un passo indietro e di coinvolgere il pubblico nel processo creativo.
Queste otto canzoni (se così può essere definito il contenuto di questi settantadue minuti di musica straordinaria) non hanno titoli; il libretto che accompagna il cd è completamente bianco, e piccoli disegni compaiono in trasparenza; la voce, eterea e delicata come si conviene (quanto sarebbe stato facile distruggere gli equilibri di questi brani con una vocalità più aggressiva…), preferisce non cantare parole e articola fonemi senza apparente senso.
Sta al pubblico, una volta ascoltato “( )”, suggerire attraverso il sito ufficiale della band (www.sigur-ros.com) testi e titoli degli otto brani: un processo di composizione e di creazione potenzialmente senza fine, che lascia libera l’immaginazione di chi ascolta senza imbrigliarla nelle gabbie di nomi e parole definite. Due parentesi, quelle del titolo, vaste come il mondo.