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La Casa del Vento arriva a “Pane e Rose” dopo una lungo percorso di note e di impegno. Il gruppo, nato nel 1991, dopo aver calcato i palchi di tutta Italia, negli ultimi anni è approdato alla produzione discografica.
“Pane e Rose” è il secondo lavoro della band. Questo nome è sembrato al gruppo particolarmente significativo, e non solo per il riferimento all’omonimo film di Ken Loach. Ma piuttosto per il richiamo al movimento di protesta americano che reclamava, al tempo stesso, il diritto alla propria dignità (il pane), ma anche il sacrosanto diritto alla dolcezza (le rose).
La volontà di non piegarsi di fronte alle ingiustizie del modello di sviluppo neoliberista, infatti, si sposa nel disco con la voglia di inseguire la tenerezza dei propri sogni. Tra il valore della memoria e l’amore per l’intercultura, tra il rifiuto della guerra e la costruzione di un altro mondo, i 13 pezzi di “Pane e Rose” vogliono essere, per l’appunto, una voce di speranza e di denuncia.
Il disco è omogeneo e per nulla dispersivo: si ascolta tutto d’un fiato senza fare fatica ed alla fine mostra anche delle inaspettate fruibilità pop. Il genere è folk contaminato: ascoltando il disco, infatti, si possono sentire (negli arrangiamenti) influenze irlandesi ed allo stesso tempo avere l’impressione di trovarsi a ballare in qualche festa slava o rumena. Insomma, la “Casa del Vento” fa musica meticcia, e la fa bene.
L’album si apre con “Genova chiama”, brano che dopo i fatti di Genova del luglio 2001, raccoglie le idee legate alle riflessioni di quei giorni. E’ un richiamo ai problemi dei migranti, alle condizioni dei lavoratori, alle varie forme di povertà, alla natura, in un mondo che mette davanti le ragioni dell’economia, rispetto a quelle delle persone. Il brano è ben suonato e l’uso di una chitarra elettrica discreta ma puntuale, impreziosisce il tutto. Le ballate del disco sono due, ed entrambe, da sole, giustificano l’acquisto dell’album.
La prima è “Pane e Rose”: struggente ninnananna che ruota attorno ad un testo pregevole e ad un violino in sottofondo. La seconda è “La Canzone di Carlo”: brano scritto per non dimenticare la morte di Carlo Giuliani durante i giorni del G8 e che invece di inoculare tristezza spinge alla speranza.
Il finale del disco è davvero interessante. “Zigani Orkestar” è uno dei pezzi migliori dell’intero album. La canzone è dedicata al popolo Rom, al loro spirito di libertà. Rimane subito in testa dopo il primo ascolto ed è un invito a ballare. Il testo è un pugno nello stomaco ai benpensanti: “…Se la mia gente ha perso \ il proprio orgoglio, la dignità \ è per i muri alzati \ le porte in faccia dei pregiudizi…”. L’ultima traccia è “Anarchy in the U.K.”, personalissima cover del celeberrimo brano dei Sex Pistols, riproposto in una versione acustica che mette in luce il lato più intimo dell’anarchia.
In conclusione: “Pane e Rose” è un bel disco. E’ un disco che a differenza di molti altri prodotti musicali che attingono nel calderone del (sedicente) impegno sociale, ha delle cose da trasmettere in modo onesto e spontaneo. Musicalmente ha il pregio di essere ben suonato e ben arrangiato. L’unico momento poco convincente dell’album è “Treno per Galway”: la lirica appare un gradino sotto rispetto allo standard delle altre contenute nell’album.
Difficile che questo diventi un disco capace di restare per settimane nell’hi-fi di chi non è amante del genere. Di sicuro, però, ha tutte le carte in regola per diventare uno di quei cd da ascoltare di tanto in tanto, magari davanti ad una bella cena fra amici.