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La registrazione della quinta ed ultima serata del tour giapponese del maggio di quest’anno (due concerti a Osaka e tre a Tokyo), è un monumentale live di grande solidità: solida la scaletta, solido e partecipe il pubblico di fedelissimi che affolla il “Club Città” di Kawasaki.
Chissà se lì in mezzo c’è pure lo spettatore che nei tempi andati, sull’onda dell’entusiasmo, cercò – ahi lui! – di intercettare il basso improvvidamente proiettato sopra le teste da Patrick Djivas.
In più di due ore di musica c’è spazio per tutte le facce della Forneria, in pacifica e matura convivenza. C’è poco spazio per la foga del momento, per la giovanile e spigolosa volontà di imporsi che caratterizza lo storico “Live in U.S.A.”; il valore dell’esperienza ha ormai assorbito i contrasti, anche linguistici: il bilinguismo talvolta incomunicante e un po’ doloroso frutto del successo internazionale degli anni settanta, che vedeva la lingua natia accantonata in occasione delle performance estere, si risolve in una coabitazione che è ormai “classica”, cioè paradigmatica.
Nessuna differenza con il live “italiano” “www.pfmpfm.it”, del 1998 . Ormai non c’è nulla da dimostrare; ora è il momento di fissare nella memoria, di confermare. Allora ascoltiamo versioni “italiane” – “Dolcissima Maria”, “È festa” – versioni inglesi – “River of Life” (“Appena un po’”), “Photos of Ghosts” (“Per un amico”), “Promenade the Puzzle” (“Geranio”), “Mr. 9 till 5” (“Generale”) – versioni miste – “La luna nuova”.
È dato naturalmente, e giustamente, largo spazio ai grandi pezzi progressivi, ma c’è anche il senso della stratificazione cronologica, della sedimentazione di tutta una carriera, dai primi dischi all’ultimo “Serendipity” (“La rivoluzione”). È da una posizione di forza che scaturisce l’arrangiamento intimista e confidenziale del finale di “Dolcissima Maria”, che si distende morbidamente nella divagazione pianistica: tutto l’opposto di quanto accadeva nel ’74, quando dominava il crescendo.
Stesso discorso per “La luna nuova”: attacco in sordina, di violino, come quello dell’incisione in studio. Domina il fare largo, senza fretta, anche in “Impressioni di settembre” e “River of Life”. La seconda parte strumentale di “Dove…quando” è disseccata e ridotta a un “a solo” di piano che scaturisce senza soluzione di continuità dalla improvvisazione “Tokyo Piano Solo”: ma non è uno svilimento. È stato isolato, messo a nudo il perno, il centro di gravità di tutta la composizione; una scelta debole che in realtà è fortissima: la canzone è già ampiamente conosciuta, è dunque il tempo della rielaborazione.
Tutto il resto è all’altezza delle aspettative, con la “Tokyo Violin Jam” (che include l’immancabile “Guglielmo Tell” rossiniano) superiore alla “Tokyo Electric Guitar Jam”. Ammiccante e riuscitissimo l’inserto orientaleggiante del violino di Lucio Fabbri in “Dove…quando” parte 2.
Si tratta comunque di un live arricchito: prima del concerto ascoltiamo l’inedita “Sea of Memory” cantata da Peter Hammill su suo testo (forse un po’ monocorde ma tesa ed emozionante) e la cover di “Bandiera bianca”, contro-omaggio al Franco Battiato di “Impressioni di settembre” (non male dopo vari ascolti, anche se il coro suona un po’ troppo da stadio).