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Subito dopo l’uscita di “Bringing It All Back Home” Bob Dylan si ripresenta sulle ribalte con un nuovo album. Ed è la svolta. L’attacco di “Like a Rolling Stone” è inequivocabile: un rock elettrico scatenato e travolgente (proprio come una pietra che rotola), con chitarra elettrica, basso, batteria e piano in splendida forma e la vecchia amica armonica a bocca che fa capolino dopo il trascinante ritornello.
Non a caso nel testo Dylan si rivolge con enfasi ad una donna che ha scelto la libertà, e le dona la perla di saggezza “se non hai niente, non hai niente da perdere”. Insomma, un attacco da brividi, sconvolgente ancora adesso – e figuriamoci all’epoca! -; tra l’altro il brano scardina la folle idea che un singolo debba rientrare nei tre minuti di durata, e si trascina fino a superare i sei.
Torrido il blues di “Tombstone Blues” con una chitarra acida e una scatenata base ritmica, mentre la voce anfetaminica di Bob rincorre le impennate pianistiche. Ma forse per capire appieno la ventata di novità bisogna ascoltare “It Takes A Lot to Laugh, it Takes A Train to Cry”: l’attacco sembra quello tipico delle ballate folk presenti negli album precedenti, con la chitarra impegnata in un dolce arpeggio. Ma stavolta irrompono subito anche la batteria e il pianoforte, trasformando il brano in una dolce scoordinata ballata pop dalle intuizioni quasi rockabilly.
Epico e assolato l’incedere di “Ballad of a Thin Man”, che fa intravedere all’orizzonte Ennio Morricone e Clint Eastwood impegnati un duello da vaudeville, mentre la voce dimostra qui tutta la sua purezza e profondità (taluni la attribuiscono al fatto che il menestrello abbia smesso di fumare come una ciminiera, ma in fondo è così importante?).
L’organo è nuovamente in splendida evidenza in “Queen Jane Approximately”, mentre la title-track mette insieme suoni bizzarri, una batteria impegnata in un tempo da marcetta e qualche leggero accenno di chitarra: mai la musica di Dylan è stata così vicina ai cabarettismi che impazziranno di lì a poco nella cugina Inghilterra. “Just Like Tom Thumb’s Blues”, pur nel suo splendido nitore appare come una sorella minore di “Like a Rolling Stone”.
Dimostrando ulteriormente la sua libertà d’espressione Dylan chiude il suo primo album decisamente elettrico con una lunghissima, dolente, emozionante ballata acustica che si riallaccia alle radici sudiste della musica country e al solito, incrollabile, mito del cantastorie vagabondo che intere generazioni oramai identificano in Woody Guthrie: “Desolation Row” è il brano che dimostra definitivamente come un ragazzo di soli 24 anni abbia totalmente rivoluzionato il senso della musica e il ruolo del songwriter, ed è il brano che chiude un album perfetto, un ennesimo, immortale, capolavoro.