Share This Article
La vecchia stazione del “Fuori Orario” trabocca di persone, tutte ugualmente in fibrillazione: è la prima data locale di Carmen Consoli, parte di un tour trionfale nei club che la porterà anche in Europa. Con mio piacere non noto in giro persone attirate dall’evento in sé o dal singolo famoso: chi era sotto il palco, ieri sera, condivideva una passione sincera e viscerale per la Cantantessa.
Quando Carmen arriva in scena, offre un inizio di concerto decisamente poco accomodante: “Per niente stanca” e “Sentivo l’odore” sono un uno-due iniziale violentissimo, chitarre taglienti e la voce rabbiosa come si conviene; se l’ultima fatica in studio ci aveva fatto intuire una svolta più dolce e più tranquilla nei suoni, il palco ci riconsegna una rockeuse di razza, capace di aggredire le canzoni con piglio sicuro, riversando sul pubblico il sarcasmo feroce di “Venere” ed il tormento interiore della splendida “Fino all’ultimo”.
I brani più recenti si spogliano degli arrangiamenti che abbiamo ascoltato su disco, diventano più diretti senza perder un grammo di fascino: “Masino” si libera della sua rigida gabbia elettronica, e diventa una grande canzone, dilaniata com’è dalle chitarre; i momenti più d’atmosfera (“Moderato in re minore” e “L’eccezione”, ma anche “L’ultimo bacio” e “Parole di burro”, diventate ormai classici) rinunciano agli archi, rivelando canzoni nude, eleganti, bellissime.
Il pubblico è giustamente entusiasta, e Carmen e la sua ottima band certo non si risparmiano: tra una strepitosa “Confusa e felice”, punto più alto della serata, e cover inaspettate come “Volare” di Modugno, la sensuale “Amado mio” ed il classico jazz “My funny Valentine”, oltre che a uno splendido blues, c’è anche tempo di recuperare due canzoni dagli esordi (“Quello che sento” in una versione da brivido, solo voce e chitarra, e “Amore di plastica”, invocata a gran voce da tutti i presenti), scagliarsi contro ricordi dolorosi e non del tutto cancellati (una cattivissima “Bésame Giuda”) ed infiammare gli animi con una dedica accorata al giudice Falcone (“Mulini a vento”) e con decise invettive contro la guerra (le bordate furiose di “Eco di sirene” ed “Ennesima eclissi”).
Due ore tiratissime, concluse alla grande da una saltellante e giocosa “Stato di necessità”, title-track di un album a mio parere giustamente trascurato nella scaletta: due ore, quanto basta per zittire gli scettici e per lasciare a tutti gli altri la giusta sensazione di aver assistito ad un concerto bellissimo.
foto di Luca Rossi