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Da una band che ha inventato un genere, e che è entrata nella storia della musica, ci si aspetta un capolavoro ad ogni passo: tali erano stati “Blue lines”, “Protection” ed il cupo “Mezzanine”, e va subito detto, a scanso di equivoci, che anche questo “100th window” è un disco straordinario.
Cinque anni di silenzio, e nel frattempo la creatura Massive Attack è andata in pezzi come l’uomo di vetro della magnifica copertina: Mushroom abbandona, in disaccordo con i suoni zeppi di chitarre wave di “Mezzanine”, mentre Daddy G si prende un periodo di pausa per paternità, lasciando così il solo Robert “3D” Del Naja a gestire uno dei gruppi più importanti e influenti dell’ultimo decennio; e la nave rischia il naufragio, perdendosi in ben 80 ore di improvvisazioni con i Lupine Howl, ricominciando da zero e trovando infine la rotta quasi per magia.
Un titolo affascinante e simbolico, preso da un libro sulla sicurezza elettronica: la “centesima finestra” è quella che non può essere chiusa, simbolo di identità dissolte, di ansia comunicativa e della contemporanea perdita dell’intimità; alla velocità della tecnologia che rischia di schiacciare l’uomo, 3D risponde con nove canzoni lunghe, ipnotiche e cupe, quasi un elogio della lentezza che tutti dovremmo recuperare.
Se si deve avanzare una critica a questo disco, è la mancanza dell’elemento di novità che aveva incantato tutti all’inizio dei ’90; il suono è quello tipico dei Massive Attack, con differenze minime rispetto al passato e percepibili solo dopo molti ascolti: decisamente in secondo piano le influenze reggae, un suono forse mai così scuro e con pochi campionamenti, canzoni che si allungano, riscoprono una certa circolarità nei suoni, si trasformano in creature espanse e psichedeliche.
Variazioni minime e poche novità, dunque, ma ciò non intacca minimamente la bellezza incredibile di queste canzoni. Non c’è niente, in questo “100th window”, che passi in secondo piano: come tacere dell’ipnosi sintetica di “Everywhen” e della voce del buon vecchio Horace Andy? come non rimanere ammaliati dalla ritrovata Sinéad O’Connor e dall’energia feroce che dona ad un singolo strepitoso come “Special cases” o alla preghiera struggente di “A prayer for England”, per non parlare poi dello squarcio di luce portato a “What your soul sings”? come non innamorarsi del sussurro di 3D in “Small time shot away” (“small talk everytime/ it’s my favorite chloroform”)? come non perdersi fino a smarrire ogni residuo di razionalità nelle atmosfere orientali di “Antistar” (“yeah/ more sweet narcossis”) e nei dieci minuti di loop di frequenze digitali che la concludono?
Niente da fare: di nuovo perdutamente sedotto dai Massive Attack.