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Oramai consacrati a livello internazionale grazie a due album come “Autobahn” e “Radio-Activity” – dove per la prima volta cantano in inglese -, sospesi in un limbo indistinto nel quale convivono senza problemi un’avanguardia sonora chiaramente debitrice delle sperimentazioni di John Cage, metallici rintocchi industriali e fruibili melodie techno-pop, i Kraftwerk mettono le mani su quello che è da considerarsi il loro capolavoro (insieme al successivo “The Man Machine”).
L’ouverture quasi spiroidale di “Europe Endless” sul quale si vanno a sommare sonorità elegiache e cadenze ballabili è un biglietto da visita di assoluto valore, con il brano teso in un crescendo emozionale che cancella e supera la natura elettronica, pur così giustamente e caparbiamente rivendicata. Rumori degni di una sonda spaziale danno vita a “The Hall of Mirrors”, denso brano, d’atmosfera cupa, dall’incedere lento e maestoso, che si fa carico della memoria storica mitteleuropea della band, così come la seguente “Showroom Dummies”, che anticipa in maniera clamorosa il techno-pop commerciale che esploderà come moda nel decennio successivo.
La title-track, con la sua ossessiva e penetrante voce filtrata, fonde alla perfezione le due anime insite nella band, quella interessata alla strutturazione di un incedere meccanico, industriale (e l’atmosfera siderale del brano ne è la glaciale testimonianza) e quella attenta alla creazione di una melodia che risulti a suo modo ballabile – anche se qui si tratta di abbandonarsi al vortice di una danza robotica, marcia scandita da un metronomo che riporta alla mente il montaggio di un film come “Metropolis” di Fritz Lang -.
Il discorso intrapreso in questo brano continua senza alcuna interruzione nel seguente “Metal on Metal”, dove l’atmosfera industriale acquista un senso ancora più estremo grazie alla presenza di rumori tubolari di sottofondo e ad una chiusura rumorista. Dopo questa sfuriata futuribile ecco la nostalgia carica di pathos della superba “Franz Schubert”, dove la materia elettronica viene trattata in maniera talmente fine da evocare un calore quasi orchestrale, struggente e irresistibile.
La quiete dopo la tempesta, insomma. Come già nel caso di “Trans-Europe Express” e “Metal on Metal” anche “Endless Endless” si lega senza sfumature alla precedente, ma solo per chiudere l’album, senza alcun supporto musicale, sulla voce filtrata che recita “endless” in maniera reiterata e meccanica.
La grandezza dei Kraftwerk è proprio qui, nella capacità di far convivere senza problemi l’eleganza formale e retrò tipica della natura mitteleuropea (e splendidamente evocata dalla cover) e il pop-futurista di matrice industriale, sintetico e meccanico.
La mitologia vichinga credeva che la terra fosse stata creata dall’unione tra il dio del fuoco e il dio dei ghiacci. Ralf Hutter, Florian Schneider, Karl Bartos e Wolfgang Flur hanno creato un rivoluzionario mondo musicale dall’unione fra il calore del passato e il gelo del futuro. Imperdibili.