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L’ampio tendone che ospita i concerti organizzati dal Centro Sociale romano “Villaggio Globale” ben si presta ad accogliere lo spettacolo di una band come Les Anarchistes.
Il sound dell’ensamble toscano, rabbioso e da un sapore così antico, risulta perfettamente aderente al luogo e all’occasione. Peccato che la folla riunita per assistere al concerto sia in numero così esiguo. Ma questo alla band sembra interessare veramente poco: l’attacco di “Les Anarchistes”, che apre come da copione il loro concerto, lascia senza fiato. Il brano, traduzione e adattamento di un testo originale di Leo Ferré, verrà in seguito ripreso in una sferragliante e travolgente versione strumentale.
L’impatto è dunque decisamente notevole, si sente la voglia di cantare e suonare degli otto elementi, si percepisce chiaramente l’impeto che li muove. Molti momenti sono stati da brivido: su tutti la straordinaria esecuzione dello struggente canto antimilitarista “O Gorizia tu sei maledetta”, l’emozionante librarsi della voce di Marco Rovelli (un applauso a entrambi i cantanti, due gran belle voci capaci di rincorrersi, studiarsi a vicenda e avvolgersi una nell’altra, e una resa dal vivo eccellente) a cappella in memoria di Sante Caseario, il poderoso incedere de “Il galeone”.
Sul palco si susseguono gli ospiti: tocca per primo ad Antonello Salis e alla sua fisarmonica accompagnare il canto anarchico “Su fratelli pugnamo da forti”, dedicato dalla band alla memoria di Carlo Giuliani, ucciso durante le manifestazioni contro il G8 del Luglio 2001 a Genova; purtroppo lo strumento tradisce il proprietario e Salis è costretto a dare forfait. E’ poi la volta di Raiz interpretare “Lacrime ‘e condannate” e un canto anarchico inglese – ma con intenzioni internazionaliste -.
Il pubblico, anche se esiguo, è comunque molto presente e risponde bene all’energica carica del gruppo, cantando un inno anarchico guidato da Rovelli, rintoccando fedelmente lo slogan “Morte a Franz, viva Oberdan!” e scatenandosi alla fusione di rock, folk, jazz e suggestioni elettroniche che la band propone. E così, tra riprese di testi di Leo Ferré (da citare una splendida versione di “Tu non dici mai niente”), omaggi a Caterina Bueno e ricordi di Sante Caseario si arriva al gran finale e a quella “Tamurriata delle mondine” mescolata alla versione delle mondine di “Bella ciao”, meno conosciuta ma altrettanto fiera e combattiva.
Un concerto sicuramente di parte e una band sicuramente non adatta a tutti i gusti. Ma una serata veramente memorabile.