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Ani DiFranco, fin dal titolo di quest’album, dichiara la sua voglia di evoluzione, la sua spinta a proseguire quel percorso musicale che l’ha portata a trovare un equilibrio fra l’amore per il folk, il jazz, il blues, il funk e i suoni caldi della “musica nera”.
La cantautrice di Buffalo, che aveva esordito in piena solitudine acustica nell’ormai lontano 1990, non ha perso forza né ha annacquato le idee. La sua continua ad essere musica anticonformista e militante, come dimostra l’impegno contro la guerra all’Iraq voluta dal presidente Bush, e in “Evolve” tutte le varie anime della sua musica convivono senza ostacolarsi: c’è il jazz spezzato di “Promised Land”, il desolato canto di lavoro “Icarus”, il folk-gospel di “Slide”, sicuramente uno dei punti più alti dell’album, con una chitarra acustica ispida che anticipa (insieme ai cori) l’irrompere caustico della batteria; la voce, da principio sussurrata, della cantante diventa declamante e crudele.
I toni ora sono più vicini al rock, mentre fa capolino una tromba delicata e struggente. Un brano di grande spessore. “O My My” riporta il tutto su un terreno jazzato, quasi improvvisato, indefinibile e vagamente scoordinato, con la voce della DiFranco a farla da padrone, mentre pianoforte, fiati e batteria si gettano in inseguimenti giocosi e coloriti.
Splendido assolo di tromba quello che apre “Shrug” (già apparsa sul doppio live), decadente ballata dai toni soffusi, delicata come un soffio, fatta eccezione per la voce filtrata e straordinari i fraseggi chitarristici di “Serpentine”, che si trasforma presto in una sorta di talkin’ blues del nuovo millennio, assolutamente non consolatorio, irruento, a tratti disperato, nevrotico eppure delicato, ipnotico, sussurrato e al contempo urlato. La ballata acustica “Welcome To” chiude l’album in maniera ottimale, ipotizzando un ritorno futuro al passato, quello ruvido tracciato dalla chitarra e dalla voce.
Una cosa è certa: Ani DiFranco è una cantautrice fuori dai canoni e del tutto insensibile al business. Questo “Evolve” né è la conferma, un album più che buono, un’altra piacevole conferma di questo 2003.