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Gli anni ’90 per Bob Dylan si aprono all’insegna della memoria: per festeggiare il trentennale dell’uscita del primo album firmato dal menestrello la Columbia propone un gustoso cofanetto composto da tre cd e da un esauriente booklet di accompagnamento.
L’opera propone un’antologia più che esaustiva della carriera di Dylan, passando attraverso registrazioni live, non ufficiali, di brani celebri, e proponendo una messe spaventosa di brani mai messi su disco, mai catturati dal vinile; in pratica un’occasione (quasi) irripetibile di entrare in contatto con l’opera omnia del cantautore statunitense.
Tre cd per un totale di 58 brani, tutti segnati da una registrazione sonora ottimale che ripropone, soprattutto nel primo cd incentrato sul repertorio folk degli esordi, in pieno il calore della chitarra acustica e della bassa voce di Dylan. Difficile scegliere uno tra i tre cd, difficile scegliere anche solo un brano che si alzi al di sopra degli altri: personalmente ho una preferenza per il primo cd, dove il “nostro” si presenta al suo meglio, accompagnato dalla sua chitarra e talvolta (come nella superlativa “He Was A Friend Of Mine”, dove la voce di un giovanissimo Dylan si adagia su un brano tradizionale riuscendo a renderlo personale e di una dolcezza struggente) dall’armonica.
Strepitoso il “Talkin’ John Birch Paranoid Blues” dove Dylan scaglia accuse durissime contro il fascismo borghese statunitense e l’ipocrita paranoia anticomunista. Da una seduta al Witmark Studios di New York proviene un’elegiaca versione per pianoforte e voce di “The Times They Are A-Changin’”, in una rilettura che abbassa il tono contestatario del testo e esalta le sfumature messianiche. Il primo cd si chiude con un poema dedicato a Woody Guthrie e declamato da Dylan al Town Hall il 12 Aprile del 1963.
Il secondo cd traghetta l’ascolto da “Bringing it All Back Home” alla metà degli anni ’70: si scopre dunque che Dylan aveva realmente registrato una versione di “Farewell, Angelina” per l’album di svolta del suo folk-rock, quello aperto da “Subterranean Homesick Blues” che ricompare qui in una spoglia ma energica versione acustica. “If You Gotta Go, Go Now (Or Else You Got To Stay All Night)” è un trascinante blues e molti brani di questo secondo cd si adattano a questo schema (e esce da questo schema proprio la celeberrima “Like A Rolling Stones”, qui in versione dolente).
Languida e struggente la “I Shall Be Released” suonata con la Band di Robbie Robertson, la cui chitarra segna indelebilmente questo brano, rilassante e pacificante “If Not for You”, registrata nel 1970 e nella quale fa capolino la chitarra delicata e vagamente acida di George Harrison. Notevoli i brani che comparivano da principio su “Blood on the Tracks”, in particolare il torrido “Call Letter Blues”.
Il terzo cd è impegnato sul materiale relativo alla fine degli anni ’70 e agli anni ’80, il periodo più grigio della carriera di Dylan, ed è quello che presenta le maggiori sorprese: ad esempio una straordinaria “Seven Days” registrata live a Tampa (Florida) il 21 Aprile del 1979 dove si possono contare le chitarre di T-Bone Burnett, Steven Soles, Mick Ronson e Bobby Neuwirth, oltre ad un Dylan in stato di grazia. Ma sono “Blind Willie McTell”, suonata da Dylan al piano e da Mark Knopfler alla chitarra ed esclusa da “Infidels” e la conclusiva “Series of Dreams”, composta per “Oh Mercy” e arrangiata in maniera strepitosa da Daniel Lanois (qui impegnato alla chitarra, chitarra a 12 corde, basso e percussioni) a lasciare realmente stupefatti e ad attestare ulteriormente la genialità di Dylan.
Un Autore che è riuscito ad attraversare trent’anni di storia della musica, magari di quando in quando inciampando, magari senza riuscire mai realmente a ripetere i fasti di un’epoca magica come quella dei primi anni ’60, ma ancora in grado di gestirsi, e di farlo con intelligenza. E questo, credetemi, non è affare da poco.