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Nell’aria del locale risuonano ancora gli ultimi momenti del concerto di Marco Parente ad AcusticaMente, le improvvisazioni furiose e trascinanti che hanno sigillato vere e proprie perle come “Adam ha salvato Molly” e “Succhiatori”. Marco scende dal palco e saluta tutti, amici venuti a vederlo e gente dal pubblico che si ferma per scambiare due parole con lui.
Disponibilissimo, si presta anche a questa intervista: la sua musica, le sue delusioni, la poesia, la nascita e la vita dell’ultimo, bellissimo, “Trasparente”.
Marco si lascia coinvolgere nella chiacchierata, senza filtri e con una disponibilità e con una gentilezza che mi ha sorpreso. Lo ringrazio anche per questo, oltre che per lo splendido concerto a cui ho avuto la fortuna di assistere.
Per iniziare, complimenti per il concerto. Un paio di impressioni tue sul concerto che hai appena fatto?
È un concerto molto passionale, con diverse “sbragature” e sbavature; non avevo un grande ascolto sul palco, per cui alcune cose me le sono godute meno, altre me le sono godute molto. Mi è piaciuto un sacco che il gruppo soprattutto nella parte delle improvvisazioni si sia completamente coeso, sono nate delle cose impreviste molto belle.
Mi è sembrato, infatti, che abbiate lasciato molto spazio alle improvvisazioni: penso al finale di “Adam ha salvato Molly”…
Quello assolutamente, infatti sono brani che teniamo abbastanza in fondo, nel momento in cui c’è l’atmosfera e anche noi ci siamo messi a nostro agio, e quindi c’è la possibilità di essere magari meno concentrati però molto più liberi.
Soprattutto sappiamo benissimo che nel finale di “Adam…” o in “Succhiatori” succedono delle cose. A volte vanno meglio, a volte peggio: oggi quelle cose sono andate bene.
Torniamo un attimo indietro: so che, stando a quanto avevo letto, il rapporto con Sonica non era finito nel migliore dei modi; quindi non ti chiedo cosa è andato male, ti chiedo cosa ti resta di buono di tutto il tempo passato con loro.
Mah, mi resta la lezione che si impara in tutte le cose che vanno a finire male, e che sono quindi negative da un certo punto di vista, anche se le più grandi lezioni vengono proprio dalle batoste, dalle cose negative, e non dall’euforia; quando le cose vanno bene, anzi, finisci magari poi per adagiarti.
In quel caso lì, beh, era un modo di incominciare per conoscersi, però alla fine forse non eravamo fatti l’uno per l’altra.
Io ho il mio ruolo di musicista, e loro il loro ruolo di discografici, quindi di persone che dovrebbero tutelare il mio lavoro…c’erano troppi conflitti d’interesse, usiamo questa parola qui, molti conflitti d’interesse, perché loro comunque sono musicisti e si creano dei meccanismi strani, delle gerarchie per cui tu non riesci ad andare oltre a una determinata situazione, che poi alla fine è solo il migliore delle condizioni possibili in cui tu devi lavorare…Era iniziato bene per il primo disco, però io sento che mi sono sempre fatto un grande culo, e grandi sacrifici.
Alla fine credo che ci si stimi a vicenda, ma non ci capiamo…
È piuttosto triste, anche perché noi, da fan di certi gruppi, da fuori tendevamo a vedere il Consorzio come una grande famiglia, o almeno loro tendevano a presentarla come una grande famiglia…
Ecco, lì è stato fallimentare da questo punto di vista…fallisce sempre la grande famiglia che, come dire?, che fonda tutta la sua etica e i suoi principi solo sulla famiglia, senza tener conto dei ruoli che si vanno a coprire in quel contesto lì…se tu sei un ufficio stampa, devi saper fare l’ufficio stampa, non mi interessa che tu abbia buon gusto o che prima suonassi, e così anche per il discografico che ti deve tutelare.
La grande famiglia è possibile, però io l’ho trovata molto di più nella Mescal che non in Sonica, che in teoria e nella sua facciata sembrava molto più umana, molto più vera, molto più leale; invece, in realtà, non era così.
Cambiamo argomento…
Beh, cambiamo argomento anche perché in realtà ho perso molto tempo e non vorrei perderne dell’altro…
Comunque, non sei mai rimasto fermo anche nel periodo in cui “Testa, dì cuore” è stato abbandonato, no?
No, io non sono mai rimasto fermo neanche quando “Testa, dì cuore” è stato affossato, perché così è stato, da Sonica dopo due mesi che era uscito, ho continuato e ho fatto un sacco di cose, un sacco di esperienze.
Ho conosciuto tanti musicisti, e ho fatto le cose più disparate: da colonne sonore per spettacoli di danza a lavori con compositori di musica elettronica colta, a lavori con un pianista jazz, con Bollani, con la big band, il lavoro con i poeti beat e la carovana di “Pullman my daisy” che mi hanno permesso di affrontare il palco da solo per la prima volta, e quindi mi hanno dato molto coraggio e sicurezza. Alla fine tutto questo, però, è stato convogliato lì dove io comunque voglio lavorare: io voglio fare dischi a mio nome, e lavorare con tanti musicisti, e in questo disco soprattutto sono entrate tutti quelli che sono stati dei primi approcci e collaborazioni con questi musicisti.
Mi sembra appunto che tutte queste collaborazioni e tutte le varie esperienze alla fine siano finite in “Trasparente”, no?
È questo, esatto, è proprio questo: è tutto in “Trasparente”.
Sono passati sei mesi dall’uscita di “Trasparente”: a mente fredda, come ti sembra?
Non lo so, perché io il disco non lo riascolto; lo ascolto molte volte mentre lo sto finendo, durante la masterizzazione e anche a distanza di un mese, poi smetto di ascoltarlo, ma ho fatto così anche con gli altri dischi.
Per me ora è importante far rivivere “Trasparente” ogni volta. Lo sto ricomponendo, ricostruendo, demolendo e ricompattando, però lo sto rivivendo, fondamentalmente: è come se ti dicessi che per me un concerto è come rifare il disco, da un certo punto di vista. Non riesco ad avere un commento a freddo sul disco “Trasparente”; sicuramente non ho rimpianti, potevo fare solo un disco così.
Con tutte le condizioni e le cose che sono successe, potevo fare solo un disco così, nel bene e nel male.
Sono stati tirati in ballo sempre i soliti nomi, soprattutto come unione di elettronica e fiati, o per la voce: i Radiohead e la famiglia Buckley. Sono artisti che ti hanno ispirato, paragoni in cui ti riconosci?
Mah, è normale, perché, come dire, “chi prima arriva meglio alloggia”…in realtà io personalmente avevo lavorato agli arrangiamenti di “Adam ha salvato Molly” nei provini, prima che uscisse “Kid A“, quindi non sapevo che i Radiohead stessero lavorando con dei fiati. Per me è una cosa bella, perché io amo questi gruppi, io amo i Radiohead, ma ciò che amo di questi gruppi è il fatto che c’è un approccio molto simile, quindi se certe cose sono nell’aria, ripeto, “chi prima arriva meglio alloggia”.
Nell’aria ci sono delle influenze, delle cose che ritornano fuori, come possono essere per i Radiohead gli ascolti… (si interrompe) Io ti potrei dire: sì, ok, i Radiohead hanno tirato fuori fiati con l’elettronica, ma io so benissimo da dove li hanno tirati fuori: hanno ascoltato “Bitches’ brew” di Miles Davis, hanno ascoltato Mingus…io ho ascoltato queste cose, anche per me sono state una formazione, capito? Quindi a un certo punto ognuno fa il suo percorso, certe cose sono nell’aria e tu le acchiappi; poi chi prima arriva o chi arriva dopo…non è questo il punto, perché chiunque mi dà del derivativo rispetto a Radiohead o Jeff Buckley sotto un certo punto di vista però è un ignorante, perché non sa poi da dove questi gruppi in realtà fortemente hanno preso… è una catena…
Secondo me invece è bello avere una riconoscenza verso le proprie radici, e soprattutto avere il coraggio di affrontarle certe cose, perché i Radiohead affrontano e negano tutto quello che hanno fatto prima facendo un disco come “Kid A” o come “Amnesiac”, mentre Jeff Buckley purtroppo non ne ha avuto la possibilità.
Lavori molto a livello di testi? Ti sembra che possano essere considerati non dico come poesie, ma come qualcosa che riesca a vivere da solo, anche senza la tua musica?
Non lo so… sicuramente io non riuscirei a leggere il mio testo, perché io non riesco a prescindere…il supporto di un poeta è la carta, è l’inchiostro, e per alcuni c’è anche l’urgenza di doverle leggere certe cose; per me la cosa più naturale è scrivere delle parole sulle quali faccio molta attenzione, con le quali cerco di capire anche me in relazione alle cose e alle persone, però io non posso prescindere dal desiderio e dalla goduria di metterle sopra un tessuto che non è un foglio bianco ma è la musica. Il mio supporto è la musica, a me interessa la musica. A volte le parole sono complicate, non arrivano, però io so che quando non vengono le parole posso fare affidamento sulla vocalità, sull’interpretazione, sul suono e sulla musica che mi accompagna, per cui la poesia è un’altra cosa. Con questo non sto dicendo che è meglio la poesia.
É una cosa che mi irrita spessissimo, quando mi dicono che un testo è talmente bello che sembra una poesia: la poesia è la poesia, e ha tutto un suo percorso, ma anche il testo musicale ha tutto un suo percorso. È bene lasciarli separati.
(M & R): Io ti avevo visto tre anni fa e mi sembrava che tutto fosse diverso… ora suoni con dei ragazzi giovani: come li hai conosciuti?
Di tutte le formazioni che ho provato questa è la formazione con cui sento che si potranno fare tante, tantissime cose, anche riaffrontare un disco come è stato “Eppur non basta”, comporre insieme a questi musicisti, perché sono, ognuno per un motivo particolare, molto consapevoli, molto bravi.
E poi, sai, la magia dei gruppi è casuale: queste persone stanno bene insieme, io sto bene con loro e credo che, rispetto a come abbiamo lavorato fino ad ora, c’è un margine notevolissimo.
L’ultima cosa che volevo chiederti è se stai lavorando su qualcos’altro e se ci sono dei dischi che ti hanno impressionato nell’ultimo periodo. Concludiamo con una domanda scema, insomma.
(ride) Sto lavorando. Ho lavorato più che altro sotto Natale perché avevo un po’ di tempo. Per me comunque è un’abitudine, se ho tempo, svegliarmi alla mattina, andare a uno strumento e anche cazzeggiare: a volte anche dal cazzeggio viene fuori qualcosa.
Ci sono già tre o quattro cose, molto pianistiche, alcune col testo e alcune no, che mi iniziano a dare una direzione di quello che potrebbe essere il nuovo lavoro, però ancora non riesco a dire niente di preciso.
Un disco bello? Quello di Johnny Cash.