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Dopo un album dedicato a Piero Ciampi, l’attore e cantante Luca Faggella ritorna ad incidere un disco, e conquista il Premio Tenco 2002 come miglior autore emergente.
“Tredici canti” getta uno sguardo ad Est, verso i Balcani e la cultura yiddish: luoghi e tradizioni culturali che non hanno dimenticato l’importanza della fisicità, dove il canto e la danza accompagnano ancora molti momenti della vita di tutti.
E così è “Minnush”, amore e devozione mistica intrecciate in una melodia sefardita del ‘700, a guidarci nelle atmosfere di questi tredici canti, tra feste (“Canto”), leggende popolari (“La strega”), storie di paese (“La cattiva reputazione” di Brassens) e sguardi di innamorati (“Il primo valzer”).
Poi, di colpo, la svolta. Dalla lunga coda strumentale di “Bulgarian bus ticket” l’album diventa politico, quasi a mostrare come cambiano le cose per quei popoli quando sbarcano sulle nostre coste in cerca di fortuna: iniziano a sfilare davanti a noi immagini tristi che continuiamo a ignorare, cantate con sarcasmo e indignazione (“Affondate la nave! La carretta dei nostri clandestini/ cibo a pesci future fritture/ sulla tavola comune” da “Mare Adriatico”), mentre per contrasto la musica si fa sempre più briosa e trascinante, ricordando da vicino il miglior Goran Bregovic o Vinicio Capossela nelle sue uscite con la Kocani Orkestar (si ascolti la stupenda “Chatzkele”, danza sfrenata, allegria che fa capolino nonostante tutto e tutti).
“Questo disco è dedicato alla danza, all’amore, alla discussione, all’intelligenza, all’artigianato, a tutte le attività e all’ozio, ai bambini e ai grandi”, leggiamo nel libretto che accompagna il CD, prima di una feroce e meritatissima invettiva contro gli USA; un disco fresco, divertente ma impegnato, sostenuto da un bel cantato teatrale e da una band strepitosa, aggiungo io. Semplicemente un bel disco.