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“Hey Ho, Let’s Go!”, così attacca uno dei più celebri brani della storia del punk, “Blitzkrieg Bop”; e con lui parte anche l’avventura dei Ramones, quattro ragazzi newyorchesi che si danno lo stesso cognome per passare per fratelli e che hanno in testa un’idea musicale che riporta agli albori del r’n’r, con un occhio alla melodia e uno all’amore per le chitarre distorte e pestate con violenza.
Pezzi che scivolano via ad una velocità incredibile, suonati ad un volume sparato e cantati con una voce stirata. Prodotti da Craig Leon, ma con alle spalle il controllo e i consigli di Martin Thau, colui al quale si deve la produzione di quel capolavoro che è l’esordio omonimo dei Suicide (e i riferimenti al cantato stressato di Vega sembrano palesi in “Beat on the Brat”) i quattro “fratelli Ramone” costruiscono un album compatto e impeccabile.
Il punk dei Ramones è lontano anni luce dalla crudeltà e dalla violenza espressiva di band inglesi come i Sex Pistols; se la band capitanata da Johnny Rotten e Sid Vicious fa forza sugli abusi di droghe e su un anticonformismo urlato (e, a mio parere, sufficientemente falso) i Ramones si affidano a liriche demenziali, e a parte l’irruenza strumentale, si nota una spiccata preferenza per le canzoni d’amore e per i riferimenti alla seconda guerra mondiale (che procurerà loro incomprensioni con la stampa).
La forza della scena newyorchese sta proprio nella sua capacità poliedrica: accanto all’approccio new wave raffinato e intellettuale dei Talking Heads ecco muoversi questa creatura deforme, cresciuta con film di serie Z, che con quattro accordi costruisce un album divertente e tutt’altro che scontato. E capace di rileggere le radici della musica popolare americana in un’ottica punk: l’ombra di Brian Wilson e dei Beach Boys si staglia nettamente dietro lo splendore di “Judy is a Punk”, il pop targato Motown è alla base di un brano come “I Wanna Be Your Boyfriend”, “Chain Saw” sarebbe un perfetto brano doo-woop, se non fosse per quella velocità folle e quegli strumenti distorti e vicini alla saturazione.
Per capire le differenze di base tra il pensiero punk delle band inglesi e quello dei Ramones basta ascoltare “Now I Wanna Sniff Some Glue”: nelle mani della band di Johnny (chitarra) Joey (voce) DeeDee (basso) e Tommy (batteria) questo pezzo diventa il semplice ritratto di uno stato umano, senza alcuna intenzione di critica sociale (arriverà anche quella, anni dopo, con la durissima accusa al fascismo repubblicano di Raegan racchiusa in “Bonzo goes to Bitburg”) né di riflessione esistenziale.
Lo stile dei Ramones è la mancanza di stile, e i pezzi sono suonati in maniera eccellente nella loro semplicità, ed è sempre evitato lo spauracchio della banalità e della noia. Un album fondamentale per comprendere un’attitudine che molti gruppi riprenderanno e faranno propria, quattordici pezzi tiratissimi (siamo sulla media di due minuti a pezzo) per una mezz’oretta di puro, intelligente, divertimento.