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E’ difficile mettere nero su bianco un’emozione. Ma è proprio quella, un’emozione strana e piacevole, il sentimento che ho provato al primo ascolto di questo (a)tipico live di Dylan del 1995.
E’ un disco immediato questo Unplugged alla MTV americana, che gode di una scaletta fenomenale, trascinante, che accompagna l’ascoltatore tra rockabilly scatenati smorzati da ballate riflessive, tutto in continua altalena. Proprio questa alchimia nella scelta e disposizione dei pezzi fa dell’Unplugged un live sobrio ma eccezionale, di una semplicità che sconvolge senza annoiare.
Per fare un esempio dei continui cambi di ritmo, basti pensare alla scoppiettante “Tombstone blues” iniziale (ironia della sorte un brano apparso nel pochissimo acustico “Highway 61 revisited”), monca di una strofa, frenata subitaneamente da una struggente versione di “Shooting star”. Ma una volta abituatisi alle rarefatte e tranquillizanti atmosfere del pezzo, si passa, quasi senza respiro, ad una bellissima versione di “All along the watchtower”, che somiglia più al rifacimento acustico del celeberrimo remake operato da Hendrix, rispetto a quella del menestrello di Duluth.
C’è spazio anche per un inedito, “John Brown”, bellissimo inno quasi surreale a condanna della guerra e chi ne fa pretesto di gloria personale; il tutto accompagnato dagli arpeggi country-blues dei chitarristi (oltre a Dylan, John Jackson). Il pezzo è preceduto da una rallentata “The times they’re a-changin” che, pur ben eseguita, risulta paradossalmente uno dei punti più bassi dell’album.
La voce di Dylan, arrochita da età ed alcool, raggiunge livelli espressivi eccezionali, che impreziosiscono anche il vero gioiello del disco, una “Desolation row”,che anche nella sua fedeltà all’originale, colpisce per il trasporto enfatico datole dal suo autore ed interprete. “Rainy day women # 12&35” senza ottoni può colpire per l’originalità, specie se l’organo hammond di Brendan O’Brien ne scandisce all’ossesso l’incedere blueseggiante. Altro momento toccante “Love minus zero/no limit” per sole chitarre ed armonica, quasi sussurrata, sicuro pezzo da pelle d’oca.
Ritmo più sostenuto in “Dignity” dove il solito organo hammond impreziosisce molti passaggi strumentali ed un finale teso ed in crescendo. Una “Knockin’ on Heaven’s door” pressochè recitata (e con alcuni pezzi appositamente “steccati” dal nostro) se può far storcere il naso ai puristi, sembra dipingere un Dylan mai così vicino a chi bussa idealmente alle porte del cielo. “Like a rolling stone” è un classico che non può mancare e con quel ritornello, che sembra cantato quasi per forza e controvoglia (anche a voce più bassa), assomiglia molto ad un inno alla libertà nei confronti di tutto e di tutti.
Si conclude con la vecchissima (1963) “With God on our side”, una sorta di preghiera conclusiva che ci porta al pensiero un Dio vicino anche se si è “with no direction home, like a complete unknown, like a rolling stone…”.
Un grande disco, classico e particolare allo stesso momento, sicuramente una delle incisioni dove Dylan mette più sentimento, facendo scaturire uno dei migliori documenti che provano la grandezza interpretativa e non solo compositiva di Bob.