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Se esiste nella storia del rock un disco veramente e totalmente “eccessivo” questo è “Fun House”, il secondo dei grandi Stooges. Si vorrà dunque, spero, perdonare il recensore per l’eccessiva aggettivazione che rischia di adoperare per tentare di descrivere questa musica.
E’ un Iggy Pop che le cronache dell’epoca ci descrivono intossicato e sull’orlo della follia quello che nel 1970 riesce a tirar fuori da chissà quali abissi questo eccezionale album, che segue di un anno lo splendido esordio.
Diciamo subito che in “Fun House” l’atmosfera già molto tesa dell’album del 1969 si surriscalda fino a diventare infernale. Quel che appariva malato nel primo disco (ad esempio la funerea litania proto-dark di “We will fall”) qui diventa addirittura venefico (“Dirt”); la chitarra di Ron Asheton, lancinante nell’opera prima (si pensi a brani come “1969”, “No fun” “I wanna be your dog”, “Real cool time”), diviene ora del tutto incendiaria e distruttiva.
In un crescendo inesorabile di tensione, “Fun House” propone brani al calor bianco come “Down on the street” , “Loose”, l’alienante ed irresistibile “T.V. Eye “. “Dirt” lascia senza respiro per la sua drammatica intensità, con il suo incedere lento, malato e lascivo.
E poi attacca “1970”. Difficile descrivere una simile “discesa agli inferi” musicale. Inizia come un vero pugno nello stomaco e prosegue in un crescendo via via sempre più asfissiante con basso, batteria e chitarra implacabili a dar vita ad un incredibile ritmo sfrenato e Iggy che urla sempre più follemente e disperatamente, fino a che la fatidica frase “I feel alright”, ripetuta parossisticamente, si trasforma in un agghiacciante grido primordiale. L’irrompere di un sax impazzito colora di free-jazz il finale di questo pezzo epocale.
Ciò che viene dopo è semplicemente l’apocalisse: la title-track e il pezzo conclusivo, “L.A. Blues”, portano a limiti estremi e impensabili la danza selvaggia, invasata di “1970”. A parere di chi scrive, questo è il disco più violento che sia mai stato concepito, oltre ad essere uno dei più belli in assoluto. A suo modo, catartico.