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Dopo il pessimo concerto di Erlend Øye a cui ho assistito poco tempo fa, ammetto di aver avuto il dente avvelenato verso qualunque cosa puzzasse anche lontanamente di New Acoustic Movement. Un’insofferenza che si è sciolta come neve al sole all’ascolto di questo “Ether song”, dodici canzoni (più una ghost track) costruite usando il classico intreccio di voci e di chitarre acustiche come una solida base, alla quale aggiungere improvvise accelerazioni elettriche e suggestive atmosfere venate di morbida psichedelia.
Un disco che, a suo modo, sa sorprendere, questo “Ether song”, che solo in qualche episodio ricalca esattamente ciò che ci si aspetterebbe da un gruppo come i Turin Brakes (i sussurri acustici di “Stone thrown”, così marcatamente Coldplay prima maniera, ad esempio), ma che per il resto esula dai suoni che avevamo ammirato in “The Optimist LP”.
Se una malinconia lieve sottende il tutto, va anche detto che c’è una maggiore solarità, in queste dodici canzoni, accompagnata da una gamma espressiva più ampia e ricercata. Avremmo potuto prevedere, solo due anni fa, le trame elettriche di “Long distance” – non a caso scelta come primo singolo – o una canzone vibrante come “Little brother”? Potevamo attenderci piccoli momenti psichedelici debitori dei primi Pink Floyd, come la bella ghost track posta in chiusura, o soffusi fantasmi di sonorità care agli Air, con i quali i Turin Brakes hanno condiviso per questo disco produttore e backing band?
“Ether song” è al tempo stesso piacevole conferma e attestazione di un’espressività in (seppur lieve) movimento, che sa regalare canzoni piacevolissime (la magnetica “Pain killer” o la rarefatta “Blue hour”, con la voce di Olly Knights a sfiorare il ricordo di Jeff Buckley), in linea con il miglior pop britannico degli ultimi anni, dai già citati Coldplay ai Doves; resta il fatto che una minore durata e qualche soluzione più coraggiosa avrebbe giovato a questo disco, ma anche così “Ether song” ha le carte in regola per parlare al cuore di chi lo saprà ascoltare.