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I Je ne t’aime plus vengono da Asti e rispondono ai nomi di Bruno Fraschini (voce, testi), Max Carinelli (chitarra), Carlo Sirello (chitarra), Gianluca Buoncompagni (basso) e Stefano Moroni (batteria). La loro “prima cosa” è una miscela di suoni rock e pop, con un amore per i ritmi spezzati e i toni gitani.
Tutte queste esigenze confluiscono in “Va tutto bene”, sorta di singolo dove convivono un testo narrato e dalle tematiche cantautoriali, uno stralunato assolo di chitarra centrale in pieno stile surf e un ritornello pop accattivante e fin troppo facile nella sua struttura – tanto da banalizzare il resto del brano, teso nella contrapposizione degli elementi -. “Canzone dell’ignoranza” presenta uno dei testi migliori, accompagnato da riverberi psichedelici come l’hammond suonato da Paolo Negri, in un’atmosfera ovattata e dedita allo studio del crescendo musicale.
La sensazione è che i cinque ragazzi non riescano ancora ad uscire da cliché musicali già fruiti e sentiti. Insomma, solo raramente la sensazione del già sentito e del “troppo costruito” riesce ad essere annullata dalle tracce: in parte questo accade in “La memoria”, brano prodotto (come “Canzone dell’ignoranza” e “Nell’odio”) da Giorgio Canali, ex-CCCP, ex-CSI, ora PGR e Rosso Fuoco. In “La memoria” i riflessi balcanici si mescolano alla perfezione con l’irruenza rock, qui più aspra e abrasiva che altrove. Un gioiellino, destinato purtroppo a rimanere isolato, circondato dalla banalità di un brano come “Ballata dell’inventore di un’arma letale”, con un ritornello che soffia preoccupante aria da Sanremo o da Festivalbar. Quello che abitualmente i telegiornali spacciano per rock e che invece poco o niente ha a che fare con il rock.
Di maggior rilievo la fascinazione orientaleggiante di “Il piccolo chimico”, a cui si aggiungono voci filtrate, suoni oscuri e asperità, quasi da vaudeville la follia pop di “L’oracolo” (ma anche qui la band osa troppo poco), un diabolico scherzo la melodia subdola di “La sorte”, urla disperate e ironiche in “L’amante morte”, una chiusura catartica (delicati arpeggi, rumori, un basso regolare, accenni di batteria) nel lungo intro che anticipa il cantato in “Diosa dea” e i Je ne t’aime plus salutano l’esordio.
Un esordio che non può lasciare soddisfatti: le idee in parte ci sono, i suoni sembrano studiati a puntino e regolati, ma l’anarchia che alcuni brani sembrano possedere non viene mai fatta risaltare. Questo dovrebbe essere un album di pop stralunato, di rock acido e di sonorità a metà tra l’orientale e lo sbilenco incedere di un Capossela. Invece mi trovo a recensire un semplice album di pop-rock, con qualche buona intuizione ma per il resto semplicemente nella media. Il consiglio che si può dare ai ragazzi è di avere il coraggio di osare, di alzare il tiro, di sporgersi oltre. Per poter realmente dire la loro. E senza sussurrare, come stanno facendo adesso, ma alzando il tono della voce.