Share This Article
Dalla Norvegia fino all’Italia, per la precisione Firenze, è stato questo il tragitto che ha condotto Terje Nordgarden a registrare il proprio esordio discografico affidandosi alla produzione di Paolo Benvegnù, un tempo alla guida degli Scisma.
Questa è la parte più interessante della storia, perché le canzoni sono tutta un’altra cosa. Una delusione per lo più. Non che gli arrangiamenti sobri e spesso acustici appesantiscano i suoni o che i modelli a cui guarda Terje Nordgarden, Nick Drake e soprattutto Jeff Buckley, siano meno che encomiabili.
Il problema è che i brani non hanno l’ispirazione e la forza per reggersi in piedi da soli. E’ per questo che le sue canzoni sembrano troppo spesso copie sbiadite dei brani dei suoi numi tutelari, “Something Else in My Mind” e “2nd Flight”, oppure appaiono inutilmente lunghe e dilatate, e in definitiva noiose. Non lasciano segni profondi, così come la voce di Terje Nordgarden che è sempre troppo sopra la righe impegnata ad inseguire inutilmente lo spettro di Jeff Buckley.
Restano i pezzi più spogli a regalare qualche sprazzo di luce. Il lento scivolare del brano che apre il disco, “Winter Mourning”, la pausa strumentale di “Song For Drake”, le sfumature lievi di “Coming Back Home”. Pochi episodi che non bastano a risollevare un disco dalla durata considerevole, ben settanta minuti, tanto pretenzioso quanto anonimo.