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GIAMBEPPE SUCCI (MADRIGALI MAGRI)
intervista di Raffaele Meale e perrorojo
Ci sono le interviste classiche. Domande, risposte, grazie, ciao ed eccole pubblicate. E ci sono le intervista epocali, cioè che vedono la luce solo trascorse lunghe epoche. Mandi alcune domande via email, tre mesi dopo ecco le risposte. Intanto “Malacarne” non è più una novità e allora si aspetta un po’ per vedere cosa succede. Nel frattempo i Madrigali Magri fanno uscire solo su internet la colonna sonora di uno spettacolo teatrale. Altre domande e altre risposte che vanno a completare l’intervista a Giambeppe Succi, anima dei Madrigali Magri, complice perfetto di questa chiacchierata dai ritmi molto kalporziani.
7 gennaio 2003 Raffaele wrote:
Ciao Giambeppe,
con colpevole ritardo ti mando le domande che ti avevo promesso: mi ha aiutato in questa veste di intervistatore Paolo Marmora, altro collaboratore di kalporz. Rispondi quando puoi:
30 marzo 2003 Giambeppe wrote:
Suona come la data di un giorno giusto…
Non è facile tre mesi dopo quello che tu definivi un tuo “colpevole ritardo”, intendendo tutt’al più qualche giorno, presentarsi ripescando le domande alle quali ho negligentemente dimenticato di rispondere in quelle prime settimane seguite al nostro contatto; ma ci sono cose che non si fanno per un qualche motivo nel momento in cui le si dovrebbe fare e non si fanno poi in momenti successivi per il senso di colpa di non averle fatte prima. Meglio spezzare prima o poi il cerchio.
In breve trovo ora la faccia tosta per infrangere il mio prolungato silenzio chiedendo umilmente scusa nel dispormi a replicare alle vostre domande dopo così tanto tempo (…ma prima non mi veniva…) e nel caso foste ancora interessati per bontà vostra a ricevere questa intervista, io ve la invio insieme ai miei sentimenti e ai bei ricordi che mi ha lasciato l’essersi incrociati al mondo.
Giambeppe Succi sul palco del Calamita al Kalporz Festival (foto Luca Rossi) |
Raffaele: Il primo febbraio concluderai al Kalporz Festival a Cavriago la tua tournè “Live Set Solo” in cui proporrai, in chiave solista, il vostro repertorio. E’ stato difficile riproporre le atmosfere dei Madrigali Magri in questa veste?
Giambeppe: Realmente difficili sono le cose che non vengono naturali. Per quanto il proporsi da solo renda tutto oggettivamente più difficile sotto tutti gli aspetti che la cosa comporta, in realtà a me viene abbastanza naturale farlo e sono felice di rimettermi in gioco ogni volta. E’ avventuroso. E’ una specie di sfida, come quelli che si danno agli sport estremi… E’ difficile scalare una parete di roccia con una picozza, ma se senti dentro qualcosa che ti spinge a farlo lo fai e ci godi.
Circa 17 anni fa avevo cominciato così, suonando le mie canzoni da solo in quei due o tre locali della provincia dove mi era concesso farlo, prima di incontrare Nico e Vale nei MM. Oggi le circostanze mi portano a rivivere a distanza di anni quelle origini: lo accetto di buon grado e lo ritengo importante; è bello ascoltare in me quante e quali cose siano cambiate e come in tutti questi anni.
Per la cronaca: quelle che dovevano essere le ultime date non lo sono più dal momento che suonerò ancora a Rovereto (Trento) il 4 maggio e a Latina il primo giugno prossimi. Francamente mi ero ripromesso di smettere dopo il Calamita di Cavriago, ma è un vizio: se la gente chiama i MM io non riesco a dire di no, anzi, ne sono ben felice e l’entusiasmo si rinnova.
La musica non è una cosa che puoi permetterti di fare anche senza entusiasmo: non è un lavoro.
Raffaele: E’ errato considerare i M.M. come una one-man band sulla falsa riga di Sparklehorse e Palace? Qual è l’apporto di Nicoletta Parodi e Valerio Rossi nel lavoro in studio?
Giambeppe: E’ sbagliato considerare un gruppo sulla fasa riga di qualsiasi altro per il semplice fatto che ogni gruppo è composto da personalità irripetibili che danno come risultato situazioni irripetibili; così è anche per i MM. Per questo motivo la riga che dici risulterebbe senz’altro falsa. Come risultano falsi quelli che si mettono a posta o a forza sulle righe di altri.
E’ anche sbagliato perché in effetti non è così, se non quando sul palco si presenta solo il sottoscritto per motivi legati alle circostanze attuali. E allora in quel momento probabilmente sono una one-man-band, ma io mi sento solo un one-man-punto.
Il lavoro di gruppo, lo dice la parola stessa, si fa in gruppo e tutti apportano al gruppo cose importanti. Il lavoro da soli lo si fa da soli, in quel momento non puoi contare su nessuno. Ma anche quando lavoro da solo l’influenza delle persone con le quali collaboro strettissimamente da nove anni non può certo smettere di influenzarmi.
Raffaele: Ci sembra che il nome si adatti particolarmente alla vostra etica musicale e alla scarnificazione del blues che proponete. Qual è l’interpretazione corretta del nome?
Giambeppe: Non farti troppi problemi, quella che più ti piace sarà senz’altro la più corretta.
Raffaele: Il tuo “Live Set Solo” è accompagnato da un video di Francesca Fini. Come nasce questa collaborazione? Puoi parlarci dell’interazione tra musica e immagini?
Giambeppe: Siamo entrati in contatto per via del suo lavoro sul sito www.unicatv.it che si era interessato ai MM. La collaborazione è nata spontaneamente constatando che si era sulla stessa lunghezza d’onda, nulla potrebbe avvenire altrimenti. Da qui l’idea di mettere in movimento le immagini che avevano ispirato Malacarne, gli umori delle le canzoni, le foto del booklet, insieme ovviamente a quello che Francesca ha aggiunto di suo alle immagini girando in molti altri luoghi su e giù per l’Italia, molti altri soggetti, mantenendo un feeling di fondo davvero appropriato alla musica.
Volevo che il video mantenesse in alcune sequenze i rumori di fondo delle scene, che intervengono così su quello che sto suonando dal vivo in modo sempre diverso, cadendo in punti sempre diversi dal momento che non ho una scaletta fissa: è molto divertente, è come avere un soltanto un canovaccio e scoprire cosa ne uscirà di volta in volta variandolo. Utilizzo quei rumori come uno strumento alternativo che interviene quasi a sorpresa su quello che suono e mi spinge a tenerne conto nel variare la composizione lì per lì.
Raffaele: Rispetto a Negarville, in Malacarne si respira, a tratti, un’atmosfera più morbida. E’ solo una scelta momentanea o pensi di svilupparla in futuro?
Giambeppe: Operiamo solo in base a scelte momentanee.
Raffaele: A nostro parere, l’uso della voce appare essere una sorta di narrazione episodica, quasi uno strumento aggiunto. Come sviluppi il cantato sulle trame sonore?
Giambeppe: Facendo i conti con il ritmo, la metrica, il suono, la sonorità e il significato di quello che mi interessa dire. E’ a tutti gli effetti uno strumento o un elemento aggiuntivo: non vedo come potrebbe non esserlo quando c’è.
Giambeppe dal vivo (fidatevi) da www.madrigalimagri.com |
Raffaele: Credi possibile, in futuro, l’ampliamento della gamma sonora (magari archi e fiati), pur non rinunciando al minimalismo tipico dei Madrigali Magri?
Giambeppe: Credo possibile tutto e trovo che il mondo sia pieno di suoni interessanti… Proprio per questo motivo non li userei tutti insieme. Sarebbe perderli, sminuirli. Come quando si è troppo prolissi e ciò che si dice perde necessariamente di intensità. Se questo sia o non sai per minimalismo lascio che siano gli altri a dirlo: su termini del genere ci si può sempre solo fraintendere (come forse su tutto: ma sulle definizioni dette “per capirsi” ancora di più).
Molto meglio usare solo le parole che ti servono per dire una cosa, senza divagare. Per cercare di spiegarmi: usare archi e fiati in funzione decorativa è divagare. Usarli perché ti serve quel suono in quel modo in quel momento è dire qualcosa, non importa se non sai perché: sai che è così.
Per ora una simile impellenza relativa ad altri strumenti non si è ancora presentata ai MM.
Tutto ciò che produce un suono al mondo è uno strumento.
Dal nostro punto di vista è molto più interessante quel che ha da dire una sedia che non un sax che fa un assolo da sax in un punto dove il dj possa dire “…vai col sax”.
3 luglio 2003 perrorojo wrote:
perrorojo: Come e’ nata l’idea della colonna sonora de “L’Avaro” che è scaricabile gratuitamente da www.madrigalimagri.com?
Giambeppe: L’idea della colonna sonora originale è nata tutto sommato da motivi puramente economici: alla compagnia servivano musiche libere da diritti per non accumulare altre spese alla produzione dello spettacolo e quando mi hanno proposto la cosa io non ho avuto problemi ad accettare. L’idea mi divertiva. Inoltre nella stassa compagnia sono a volte coinvolto come attore quindi esisteva un rapporto già ben consolodato di collaborazione.
La copertina della colonna sonora de “L’avaro” |
perrorojo: Come sono nati i pezzi?
Giambeppe: Servivano sostanzialmente una “sigla” per lo spettacolo, una ballata, un pezzo per una scena di passaggio e le musiche per alcuni momenti legati ad altri “effetti di scena”. Gli unici pezzi pensati più o meno appositamente sono “In low with my money” (diciamo la “sigla” e il tema) e “Candlestar” (la ballata), che ci siamo divertiti a registrare in situazioni sonore e non solo sonore molto diverse. Le parti strumentali sono nate per lo più assistendo alle prove delle diverse scene e componendo sul momento un commento sonoro. Infatti c’è dentro un po di tutto, in base alle esigenze: senti spuntare dei mandolini napoletani (o meglio: quella che per me è l’idea dei mandolini napoletani) o un siperietto leggero come nickel businnes. In apertura dello spettacolo poi c’è pure un tango, ma quello sinceramente era proprio solo per “dovere” di scena e siccome mi fa piuttosto schifo il modo in cui lo suono non compare nella raccolta. In ogni caso l’idea alla quale mi sono ispirato ha più a che fare con il contrappunto, rispetto alle immagini, che non con la didascalia.
perrorojo: Che effetto ha avuto sullo spettacolo la presenza dei musicisti dietro le quinte?
Giambeppe: Il fatto che la colonna sonora fosse dal vivo veniva rivelato al pubblico solo a fine spettacolo: partiva il cd con il primo pezzo e su quella base a mo’ di sigla finale e titoli di coda, salivo sul palco con la chitarra prima degli attori e la gente scopriva in quell’istante che tutte le altre musiche nell’arco dello spettacolo erano suonate dal vivo. Questa era l’idea iniziale. Alle volte invece lo scoprivano fin da subito dato che in certi teatri dovevo appostarmi accanto al banco di regia sotto il palcoscenico o vicino all’ingresso.
Sorprendentemente queste musiche piacevano a più gente di quanta non potessi immaginare, e la più diversa… Per il fatto che il libretto di presentazione non riportava note sulla colonna sonora e per il fatto che i testi sono in inglese, molti erano convinti che fossero tratti dal repertorio di qualche famosa-rockstar-internazionale. La cosa buffa è che quando salivo sul palco alla fine penasavo che fossi io la famosa-rockstar-internazionale, magari in una comparsata a sarpresa, va a sapere… Applausi e poi un vociare incuriosito: “…ma chi è, …chi è?”.
Ovviamente nessuno sapeva chi cazzo fossi. Ma essendo io presumibilmente straniero e certamente musicista, se non ero di successo ero lì lì per averlo: quindi massimo rispetto. …Che dire. Potenza del teatro. O dell’esterofilia. Non lo so. Comunque grazie!
perrorojo: Come mai la decisione di distribuirlo gratis in rete?
Giambeppe: Ora la raccolta è distribuita gratuitamente e non in CD perché come puoi ben vedere questo rientra perfettamente nello spirito della cosa; e anche perché, giusto appunto, non c’erano i soldi per produrlo.