Share This Article
di Chiara
Che dire su di un festival musicale che si svolge a tre passi dal cielo nel mezzo di un’estate quando hai poco più di vent’anni? Beh, ciascuno di coloro che erano presenti scriverebbe qualcosa di diverso, di personale, per l’appunto. Ma forse un unico filo ha legato, per un attimo, quelle magliette colorate e fronti sudate sparse per il suggestivo scenario a metà tra natura e storia che è la Fortezza Albornoz: la musica, la curiosità, l’entusiasmo, il senso di non-chiassosità.
La fortezza è piuttosto in alto, e bisogna percorrere una salita per arrivarvi, e ammetto che ogni passo, sarà l’atmosfera della cittadina, sarà i vari sguardi di sconosciuti che salendo incroci, acquista lentamente velocità così come sembra più veloce il battere del mio cuore. Splendida idea un festival su di un colle, ribadisco. Appena si entra, due le pareti dello scenario: la vista surreale (tanto era bella) del “regno di Montefeltro”, e ultimo, ma non meno importante, il palco allestito dove hanno preso vita le alchimie musicali delle due serate.
Durante la prima serata si sono esibiti i Giardini di Mirò che hanno saputo come riscaldare (o raffreddare? In effetti c’era qualcosa di artico nelle loro ballate) l’aria tiepida della serata agostana; arrivano gli I Am Kloot, simpatici esponenti di un tranquillo ma raffinato pop inglese che non ha potuto, per un istante, non teletrasportarmi al di là di un vetro di un pub che brilla di pioggia fine… rinfrescanti, direi.
La serata del 7 agosto si chiude con l’evento più atteso dal “pubblico pagante”, ovvero le volture di mezzanotte di Beck Hansen, fascinoso artista colorato che con la sua band minimale (da incorniciare le smorfie del chitarrista) ha saputo accendere fuochi e scintille ripercorrendo le pietre miliari dei primi album, regalando poi un breve scorcio di intimismo tratto da “Sea Change”, per rituffarsi poi in mezzo a “tagli di capelli diaboleschi” e a dichiarazioni scanzonate e provocatorie di inettitudine umana (“I’m a loser, baby, so why don’t you kill me?”), per terminare il concerto con tanto di tuta fluorescente tra un medley di hit da Mtv (le Tatu, Beyonce… ma che sta facendo?) e una cover di “Black Math” dei White Stripes. Un’ occhiatina alle stelle e poi tutti a nanna.
Seconda giornata una visitina turistica in città e un tentativo di refrigerio sotto gli alberi dei giardini, mentre scorgo sul monumento della piazzetta il cantante degli I Am Kloot e alcui dei Giardini di Mirò (dove altro trovarli se non in un parco?) che si divertono a scattare foto stile gita scolastica. Serata: Ms John Soda, me li perdo totalmente causa improvviso appisolamento di fronte alla vista panoramica, ma credo di aver percepito nel sonno qualcosa della loro musica “cullante”.
Poi è la volta dei Broadcast, dei quali mi sovviene il volto pallido della cantante che cambia colore a seconda delle luci e della musica, e, come giustamente tutti hanno notato, dei suoi collant bianchi con 35 gradi centigradi. Al di la di ciò, devo dire che mi hanno affascinato molto, con le loro ninne nanne elettroniche e la melodia “fantasmatica”. Appaiono poi i La Crus, che a parte qualche fischiata sono seguiti interamente e senza sbadigli solo dai fans più sfegatati (pochi).
I Notwist chiudono la serata, con le loro sonorità elettroniche e con la precisione di certosini, in un crescendo di emozioni che si rarefacevano nell’aria come meteore inattese.
“Frequenze Disturbate” si chiude, ma solo in seguito saprò che la serata successiva gratuita ospiterà gli Yuppie flu in concerto, che peccato. La mattina dopo mi allontano dai colli di Montefeltro dopo un paio di paste alla crema in compagnia di facce sorridenti, ci vediamo l’anno prossimo.
04.09.2003