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Lasciarsi stupire dalle avanguardie sonore più disparate, godere nella scoperta di anfratti musicali inesplorati e frastagliati, fondere il proprio udito nelle reiterazioni ansiogene di sperimentazioni ardite possiede in sé un fascino unico, a tratti quasi perverso, realmente difficile da narrare.
Allo stesso modo è quasi impossibile sviscerare le sensazioni che provoca l’ascolto estatico di una gemma pop quale questo “Lesser Matters”, opera prima di un duo svedese (Martin Larsson e Johan Duncanson) attivo fin dal 1998. Un uso del pop che negli ultimi anni aveva rischiato realmente di perdere il suo reale valore e il suo reale significato, con il termine che veniva impunemente accomunato alla più bieca e non culturale mercificazione della musica.
I Radio Dept mostrano altresì il lato più puro e blasonato del pop, costruendo melodie soffici e ammalianti: un vero spettacolo per le orecchie. Basta l’intro “Too Soon”, armonia malinconica affidata ad un arpeggio delicato e ad un organo di sottofondo sul quale si dipana una voce quasi sussurrata pronta ad essere raddoppiata per comprendere di chi pasta sono fatti questi ragazzi. Ed è solo l’inizio! Raramente mi era capitato di sentire un insieme così assortito di perle: “Where Damage isn’t Already Done” è quanto di più trascinante si possa immaginare, melodia accattivante che ti rimane (volente o nolente) in testa.
Ma nulla a che vedere con i giochi da ritornello che producono gruppi da singolo quali i Coldplay, gli Oasis e compagnia cantante, nossignori: qui siamo di fronte ad un’arguta rilettura del pop, che prende a mani basse dal passato ma con la voglia e l’intelligenza di rileggerle in un’ottica sufficientemente personale.
Come non riscontrare in “Keep On Boys” o nella stratosferica “Why Won’t You Talk About it” la fusione tra rumore e pop che fece la fortuna di una band come i Jesus and Mary Chain (e anche la voce che sembra provenire dal sottosuolo è figlia del cantato suburbano di Reid)? O come voler far finta di non sentire la derivazione di “1995”, palese citazione di “1979” degli Smashing Pumpkins – e anche figlia del pop alla “Pablo Honey” -?
Eppure tutto questo viene traslato con una tale capacità di rilettura da parte dei Radio Dept che ci si rende conto ben presto della profonda etica musicale che il duo sta portando avanti. Anche perché i capolavori non sono certo tutti qui, c’è “It’s Been Eight Years” con la sua fisarmonica stonata d’apertura e la cadenza che appare del tutto inclassificabile (beatlemania? Sicuro. Manchester nel 1985? Altrettanto inequivocabile. Belle and Sebastian? Sì, ora che mi ci fai pensare…), la quiete acustica di “Bus” straziata da un battito incessante, la pioggia che accompagna il crescendo strumentale di “Slottet #2” nel quale si incontrano i riflussi del Paisley Underground, gli accordi minori dei Tortoise e dei Saint Etienne e le decadenze dei Lullaby for the Working Class.
Ancora rumori extradiegetici alla base di “Against the Tide”, e l’emblema del pop in “Your Father” che dimostra come sarebbe ora di capire che scrivere una melodia semplice e non farla risultare assolutamente banale è una delle sfide più complesse dell’arte della musica. “Your Father” anticipa la frenesia (batteria sporca, chitarra distorta, basso martellante) di “Ewan” e l’atmosfera notturna, ovattata e sognante di “Lost & Found”, nuovamente accompagnata da delicati spunti elettronici.
Ma, e sento di doverlo confessare, l’anima mi è rimasta attacca a “Strange Things Will Happen”, sorta di sunto della storia del pop dagli anni ’60 in poi, accarezzata con tranquillizzante dolcezza dalla voce di Lisa Carlberg (ai due padroni del progetto si aggiungono lei, bassista, e Per Blomgren, batterista) e paradigma estremo del sogno ad occhi aperti. Punta più elevata di un capolavoro.
Derivitativo quanto vi pare (si potrebbero citare seicento gruppi che gli sono padri) ma sempre e comunque capolavoro. Scaricatelo, compratelo, rubatelo, taccheggiatelo, ma ascoltatevelo. Se vi volete bene, ascoltatevelo.