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L’esordio dei Bauhaus, band londinese capitanata da Peter Murphy, rientra perfettamente nello stereotipo musicale di un periodo storico, quello a cavallo tra la fine degli anni settanta e il decennio successivo, in continua mutazione ed evoluzione. Il movimento inglese aveva da tempo abbandonato le reminiscenze puramente punk, mescolandole ad atmosfere plumbee, nebbiose, potendo contare su un potenziale sotterraneo quasi inimitabile.
A Londra tra il 1978 e il 1980 erano di casa i Joy Division del povero Ian Curtis, i Cure di Robert Smith, i Banshees di Siouxsie, i Birthday Party di Nick Cave, solo per dire i nomi più eclatanti. Pur con delle divergenze, tutti questi gruppi hanno in comune un ritrovato interesse per il basso, spesso in primo piano e per le tastiere, e spesso i cantanti si lanciano in marce funebri che ricordano da vicino i deliri di Jim Morrison.
I Bauhaus di “In the Flat Field” non sono certo da meno, e presentano un piatto più che invitante: percussioni impazzite, una voce profonda, una chitarra acida e un basso potente e regolare. Si inizia a dare un nome a queste nuove sonorità e la critica si appresta a definirle “Gothic”, dando vita a quel movimento che d’ora in poi prenderà per tutti le sembianze del dark. Ma non tutto suona tenebroso e cupo in quest’album: c’è l’energia distorta di “Dark Entries”, il suono heavy di “Double Dare”, il punk della velocissima “Dive”, molto hard rock e l’elettrizzante e personalissima versione del “St. Vitus Dance”.
Anche se i pezzi da novanta rimangono le digressioni catacombali di brani come “In the Flat Field”, “Stigmata Martyr” e “Crowds”. E molti gruppi in futuro riprenderanno il celebre incedere della lunga “Nerves”. Così come i Bauhaus che, da brava band d’esordio, dichiarano la loro devozione per il glam dei T. Rex, omaggiati con una tesa versione di “Telegram Sam”, e per l’arte raffinata e poliedrica di John Cale, che con i suoi continui passaggi dal folk al pop con intenzioni classiche al punk e al dark è il punto d’ispirazione obbligato per una band come i Bauhaus, che riprendono la sua “Rosegarden Funeral of Sores”.
L’unica pecca è quella di non aver inserito tra le tracce la straordinaria “Bela Lugosi’s Dead”, cavallo di battaglia della band e una delle più belle creazioni della musica di quel periodo. Nonostante questo notevole esordio la band avrà vita breve, sciogliendosi nel 1983. In quella data i Joy Division sono da tempo scomparsi, lasciando il posto al dark-pop dei New Order, i Cure hanno già intrapreso la via melodica come Siouxsie, Nick Cave è già diventato un cantautore. Il dark puro è in declino, pronto a diventare falso in molti gruppi metal e destinato a diventare moda.