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Le Motorama, terzetto romano tutto al femminile, portano da anni in giro per la penisola il loro punk nevrotico, minimale e incessante. Accasatesi con la Bar la Muerte Laura, Elena e Daniela hanno potuto godere del lavoro in studio del buon vecchio Bugo (e quell’improvvisa stasi di voci e rumoracci che interrompe sul più bello la frenesia liberatrice di “Lucienne” potrebbe benissimo portare la sua firma).
Le Motorama hanno il punk nelle vene e la loro musica non ha nulla di artefatto o di programmato a tavolino – rischio enorme nell’avvicinarsi ad un genere che fa della spontaneità il suo principale credo – e la saturazione degli strumenti che letteralmente inghiotte la voce in “Spastic Song” né la prova decisiva. La band ci tiene a rimarcare come l’album sia stato partorito “Live in Studio” ed effettivamente nei momenti migliori sembra di assistere ad una performance stirata e rabbiosa al “CBGB’s” o al “Danceteria”, luoghi di culto della new wave newyorchese.
Particolarmente interessanti gli incisi strumentali di “Wild Girl”, l’incedere sfasato, conturbante e acidulo di “77”, a cui presta le tastiere Roberto Rizzo e che conduce l’ascoltatore in un universo sotterraneo per niente lontano dai Sonic Youth degli esordi. Bugo regala la sua presenza e la sua incapacità a controllarsi in “Nag”, sorta di blues drogato e pronto ad esplodere in una costellazione di feedback, nella tiratissima “Possession Call Me Not” e in “Bow-Shaped Lips” dove il rumore prende decisamente il sopravvento, accompagnato da una batteria scarna ed essenziale.
Ma queste sono semplici collaborazioni, chi conosce le Motorama sa che l’album è vera e propria farina del loro sacco, vi si riconoscono la furia, le nevrosi e il divertimento di base, come nell’autocitazionismo travolgente di “Motorama”, ritmica del rumore che diventa frenesia, mentre la voce si fa dolente e arrancante o come nella saturazione estrema della traccia nascosta, piccola perla tutta da scoprire.
Frutto maturo di una scena romana che può iniziare finalmente a venire alla luce, dopo anni di sotterraneo esercizio “per intimi”: e penso principalmente ai Noise from the Cellar e ai Masoko (già Masoko Tanga) qui ringraziati in calce. In “No Bass Fidelity” è avvenuto l’amplesso fra la scena romana e quella milanese – oltre a Bugo i R.U.N.I. e tutto il catalogo Wallace -; la cosa è per lo più passata inosservata, ma potrebbe essere l’inizio di un futuro elettrizzante. Per adesso mi godo l’album delle Motorama, e mi basta.