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Il suono della solitudine. Artistica e personale. Quanta forza possano avere una voce e una chitarra, e una testa pensante, nell’anno 2004, forse solo Ani Difranco riesce a capirlo. Sono il primo a sostenere che i ritmi di composizione che tiene questa ragazza siano forsennati e non facciano bene alla sua creatività, ma chi si sente di darle torto, dopo aver ascoltato questo “Educated guess”? Qui Ani fa tutto da sola: canta, compone, dipinge, fotografa, suona; un’immersione totale dentro di sé, confessioni trasparenti, parole che escono con una forza e un’urgenza incontrollabile.
Non c’è la minima attenzione alla bella forma: registrate su un 8 piste, queste quattordici canzoni si concedono raddoppi vocali al limite della dissonanza, uno stile chitarristico – che si permette tentazioni swing (“Swim”, “Bliss like this”) – carico di foga piuttosto che attento alla precisione, cascate di parole che sembrano flussi di coscienza, tanto da non potersi sempre esprimere nel canto, fino a sfociare in nudi spoken word. Il mondo interiore di questa donna coincide spesso e volentieri con il mondo esterno: la politica e il femminismo (citate apertamente nella splendida “Grand canyon”) si mischiano a immagini di uomini fragili (“men are delicate / origami creatures / who need women to unfold them”, da “Origami”), a sguardi ora teneri (“You each time”) ora gonfi di rabbia (“Bubble” e la sua chitarra carica di effetti) su una persona che ha lasciato un vuoto dentro di lei, a critiche sociali brucianti ma incredibilmente poetiche (“Animal”).
“Educated guess” suona davvero poco accomodante, sembra respingere chi vuole ascoltare, come se le cose dette fossero perfino troppo personali per farle ascoltare a qualcuno: ma vi si torna spesso, con la sensazione costante da spiare dalla serratura la passione, il cuore e l’impegno civile di una ragazza che usa la sua arte come sfogo, e nella sua musica mette il suo sangue.
Non saranno pulite, non saranno perfettine, non saranno rassicuranti, ma questa voce e questa chitarra hanno ritrovato, in “Educated guess”, quella forza espressiva che sembravano aver perso per strada: tornare ad ascoltarle è un dovere per tutti.