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I Fonica rispondono ai nomi di Kiichi Sugimoto e Cheason, vengono da Tokyo e rappresentano una delle novità più interessanti venute alla luce nel 2003; con in testa i Mùm i due hanno prodotto un album miracolosamente in equilibrio sulla linea che divide l’estetica digitale dalla pura e semplice acustica.
L’avvolgente e spiroidale intro dato da “Soar” si dissolve nella quiete di “Twang”, dove il regolare battito in sottofondo è sovrastato dalla chitarra acustica, impegnata in un arpeggio a dir poco bucolico; nel finale l’elettronica si trasforma in un ipotetico frinire di grilli. “Whirr” palesa ulteriormente l’interesse del duo nella creazione di un magma sonoro unico, avvolgente e continuo. La chiave di volta dell’album sembra risiedere nella reiterazione dei suoni e nell’accumulo di derivazioni musicali – tintinnii che si mescolano a riverberi mentre si fanno strada in sottofondo lievi rintocchi di chitarra – che si amalgamino fra loro, fino a rendere l’insieme estremamente denso.
Nonostante questo è l’uso della strumentazione elettronica a colpire particolarmente; nelle mani di Sugimoto e Cheason diventa un tappeto sonoro capace di sprigionare un calore unico, come nella splendida “Perch”, con ogni probabilità uno dei brani migliori dell’album. “Fluid” è forse, ironicamente, il brano dove questa fluidità tanto decantata viene cercata con meno insistenza: la musica diventa più estemporanea, meno legata, la trama sonora appare più scarna e si fa largo l’improvvisazione, con contrasti a tratti quasi sorprendenti.
A parte questo l’album mantiene una omogeneità strabiliante, dimostrando come i Ripple abbiano le idee fin troppo chiare riguardo al proprio approccio col suono; un sussurro in forma di musica, una carezza lieve solo a tratti deturpata da una sensazione di non appagamento – si pensi all’angoscia sottile di “Rusl” -. Uno zeffiro, come rimarca il brano di chiusura. L’esordio dei giapponesi Ripple ha in sé qualcosa di futurista e al contempo di profondamente arcaico, frutto di una terra che vive ancora in sé questa dualità, a tratti lacerante, ma che qui sembra aver trovato la sua osmosi ideale.
Musica strumentale, come sempre più spesso ci stiamo abituando ad ascoltare, che sposa gli elementi e li fa reagire, chimica produttrice di calma eterna. A Sugimoto e Cheason da Tokyo dobbiamo uno degli esordi più belli del 2003… grazie.