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Gli Hogwash sono stati una delle migliori sorprese del 2003. Il loro eccellente “AtomBombProofHeart” pubblicato da poco da Urtovox, mostra un suono lento e affascinante, ma anche traboccante di emozioni. Un piccolo miracolo come quello dell’Albino Leffe, seconda squadra di Bergamo capace di arrivare fino in serie B. Loro non ne sanno molto, come ci dice Enrico, cantante e chitarrista del gruppo. “Non ho mai seguito il calcio se non nelle grandi occasioni. Fa indubbiamente piacere sapere di una nostra squadra nelle massime serie ma non è che la cosa mi sconvolga particolarmente. L’unico che segue il calcio con passione è Beppe, il bassista…”
Il fatto di non vivere in una grande città, di vivere in un posto senza troppe pressioni, più a misura d’uomo, ha influenzato la vostra musica?
Sì certo, ma non più di tante altre cose. Io credo che più di tutto ci abbiano influenzato gli ascolti e i dischi che possediamo. Spesso si parla dello spleen esistenziale dei gruppi di provincia o della pacatezza o di quant’altro, io credo che l’equilibrio lo si possa trovare in provincia così come in città. Le pressioni ci sono anche vivendo qui, dopotutto siamo gente che ha un lavoro e che corre sempre per trovare tempo per la musica. E’ certo che se vivessimo in un città caotica la musica ne risentirebbe, così come se vivessimo sugli alberi. Indubbiamente il fatto di avere la sala prove in una tranquilla zona collinare e durante le pause potersi sdraiare su un prato qualche beneficio lo porta.
Il nuovo disco mostra una notevole evoluzione del vostro suono rispetto al passato. Che cosa è cambiato nel modo di comporre e suonare? Quali artisti vi hanno influenzato in questo processo?
Circa tre anni fa partimmo con l’idea di cambiare radicalmente il nostro modo di suonare, il processo di cambiamento è tutt’ora in corso e continuiamo ad addentrarci in terreni inesplorati. L’evoluzione ha portato alla luce sonorità che già ci appartenevano come ascolti ma ai quali avevamo sempre dato poco spazio e pian piano si è fatta largo anche l’intenzione di non stratificare più il nostro sound come un tempo e di ridurre all’essenziale gli arrangiamenti in favore di una maggiore intensità emotiva. Da qui anche l’idea di aggiungere una seconda chitarra all’organico della band per semplificare il mio lavoro ed ampliare lo spettro espressivo. Senza dimenticare il cambio di bassista che ha introdotto una inedita ricerca dal punto di vista ritmico e armonico. Gli artisti che ci hanno influenzato sono tantissimi, per quanto mi riguarda direi che per certi versi potremmo essere affini a Red House Painters, Acetone, Transona Five, Pavement.
Come descrivereste il vostro suono?
Ti propongo 2 opzioni – 1. Post-Avanguardia-Isolazionista-Reazionaria-Rock-Non-Belligerante-Pret-a-Porter – 2. Indie Rock
Come è nata la collaborazione con la Urtovox?
Nel modo più semplice che si possa immaginare, un demo spedito per posta. Il nostro sound ha fatto rizzare le antenne a Paolo Naselli ed è scaturito un primo contatto che passo passo ci ha portato qui. Abbiamo capito fin da subito che con Paolo avremmo lavorato in un modo nuovo e più professionale quindi è stato naturale che ci accasassimo con lui. Siamo molto soddisfatti di come sta lavorando ed è un onore far parte di una scuderia così ricca di buone band.
Ci sono piaciute particolarmente “Stock phrase”, “Sunday morning”, “Keys from the bunch” e “Watershed”.
Ci dite qualcosa su queste canzoni. “Sunday Morning” fa parte di un primo “lotto” di canzoni composte prima dell’arrivo di Edoardo, il secondo chitarrista, è nata giocando con una accordatura aperta che nel riff portante dà un particolare effetto avvolgente e malinconico. Il pezzo è stato poi rifinito con Edoardo che ha dato il tocco necessario per far sì che la canzone spiccasse il volo.
“Stock Phrase” è forse uno dei pezzi più strambi che mi sia capitato di comporre, nonostante sia legato alla forma canzone le parti di chitarra sono molto intricate e nonostante ciò ne scaturisce una irresistibile atmosfera pop.
Anche “Watershed” nasce giocando con le accordature della chitarra, questo pezzo ha il pregio di essere nato nell’arco di due o tre prove senza particolari sforzi, magia! Eravamo partiti con l’idea di dargli un taglio più aggressivo poi durante le registrazioni è scaturito questo mood inconsueto che ancora oggi ci lascia increduli su come possa essere scaturito.
“Keys from the bunch” la tenevo nel cassetto da un paio di anni, verso la fine delle registrazioni sono piombato in studio con in testa l’arrangiamento e nell’arco di poche ore abbiamo dato vita al pezzo, l’arrangiamento sconclusionato, i suoni strani e l’attitudine la rendono il pezzo più vicino alle atmosfere del nostro disco precedente.
Quali gruppi italiani sentite più vicini alla vostra musica?
Mi sento abbastanza vicino a GoodMorningBoy, ho anche sentito in anteprima il nuovo bel disco degli Ultraviolet Makes Me Sick che uscirà presto su Urtovox ed alcune loro cose sono vicine alla nostra attitudine sonora. Devo ammettere che non conoscevo molte band italiane finché non mi sono affacciato in casa Urtovox, ora l’interesse è molto più vivo e sono stimolato anche dalla voglia di conoscere le persone coinvolte nella scena.
Quali progetti avete adesso?
Stiamo già lavorando ad alcuni pezzi nuovi che sicuramente presenteremo dal vivo. Paolo di Urtovox si sta prodigando per procurarci concerti per il prossimo anno, quindi contiamo di riuscire a promuovere il cd in maniera adeguata come mai era successo in passato.
Aspettando di poter vederli dal vivo, per ora ci godiamo il loro eccellente “AtomBombProofHeart”.