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Canzoni di meticciato musicale: si presenta così “Casbah”, il secondo disco dei Caravane de Ville, a lungo bloccato per problemi contrattuali. Il loro folk-rock stradaiolo si è, nel frattempo, contaminato ulteriormente di umori mediorientali, di profumi e suoni che fanno ormai parte anche del nostro vissuto quotidiano: la fusione tra oriente e occidente è cosa comune, nelle nostre città, e “Casbah” ne tenta, riuscendovi, una sintesi efficace.
È, come sempre, la voce splendida, scura e sempre più duttile di Sara Piolanti a dominare le canzoni, ritagliandosi uno spazio in primo piano tra gli intrecci di percussioni, chitarre, basso e violoncello. La musica del gruppo si affranca dalla originaria matrice folk-rock e prende con decisione strade nuove: mescola il raï con l’esplicita sensualità di una “canzone d’amore per un uomo, per una donna o per entrambi” (il singolo “Hanabel”); si fa trasportare in vicoli stretti, pieni di colori e profumi da voci arabeggianti (“Casbah”); rallenta l’andatura per regalare momenti densi di pensieri (“Pomeriggio tropicale”); tocca nervi scoperti con la perturbante e sinistra bellezza di “Tempi tribali”, tra chitarre striscianti e distorte, strappi del violoncello e dissonanti colpi di pianoforte; si incontra perfino con una posse tunisina, i Wled Bled, per quella “Nostra signora dei diseredati” che è musicalmente il momento più interessante del disco, nell’alternarsi di scratch, voci hip-hop e un ritornello più tradizionale. Chiude il viaggio “Uragano”, tra una melodia fluttuante e gli inserti elettronici: quasi una versione declinata folk di quella “Ecstasy” con cui PJ Harvey chiuse “Rid of me”, un volo propiziatorio verso tempi più puliti.
Questo è il suono delle nostre strade, nell’anno 2004: molto bravi i Caravane de Ville, nel coglierlo e nel renderlo palese, e nel dimostrare come sia la cultura il modo primario di unire mondi convinti di essere su fronti opposti.