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Ironico. Violento. Malinconico. Leggero. “L’irréparable”, terzo album sulla lunga distanza del Gatto, racchiude una serie di istantanee, di fotografie da diverse angolazioni, su un unico soggetto: l’amore.
Incasellati più per dovere di catalogazione che per reale attinenza nel calderone post, il trio torinese va, con queste dodici canzoni, decisamente oltre, e per farlo si allarga in ogni direzione: cambiando metodo compositivo, lasciando che sia l’elettronica a creare le strutture dei brani, portando all’estremo le suggestioni cinematografiche (leggete i titoli, che pescano nel sottobosco b-movie a piene mani) e, allo stesso tempo, rendendo totalmente esplicita la propria devozione alla melodia, gentile e mai forzatamente elettrificata.
E così, tra brevi schegge strumentali che fungono da intermezzo (“Elvis a pezzi” e “I seguaci di Gloria Garcia”, che sembra quasi la loro “Idioteque”), le atmosfere variano incredibilmente da un pezzo all’altro; se l’iniziale “Fly falling in love” riproduce la sensazione di leggerezza degli innamorati su dinamiche sottilmente spaziali, altrove sono suggestioni noir a prendere il sopravvento: accade nella frastagliata “Una calibro 9 per Toni Rodriguez”, e soprattutto nella title-track, dove un recitato in francese si annoda ad un’atmosfera sospesa, come in quelle scene al cinema dove il detective cammina lungo un vicolo buio, e lo spettatore sa che sta per essere aggredito…puro suono trasformato in immagini nella mente di chi ascolta.
Il post-rock diventa quindi una materia da avvicinare con grande libertà, unendo i loop sonori a strumenti acustici (“Dopolavoro dancing”) e a melodie classicheggianti (le tastiere e gli archi di “Cactus in the eye”, un brano per cui i Mogwai ucciderebbero); ed è proprio la melodia più tradizionale ad essere omaggiata, nel punto più alto del disco: la cover di un classico dimenticato di Mina, “Un anno d’amore”, resa malinconica e soffusa, cantata da una vocalist, Robertina Magnetti, che ha la stessa eleganza della tigre di Cremona senza averne, per fortuna, l’enfasi.
Chiude il tutto un gentile sberleffo, un’ipotesi di folk prossimo venturo, intitolato “C’era una volta il post”; sorridiamo, e diamo ragione al Gatto Ciliegia: il post è forse già passato, ma il trio torinese è ancora qui, e “L’irréparable” è, senza ombra di possibile smentita, uno dei dischi italiani più belli di questo 2004. Una passione davvero irréparable.