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Dopo anni da vero musicista “globetrotter” con una carriera internazionale di tutto rispetto, Max Gazzè ha scelto una via difficile fatta di poesia e originale ricerca sonora che l’ha portato alla sua ultima fatica in uscita in questi giorni: “Un Giorno”. L’album è stato in principio meditato in solitario e poi, cestinate le prime bozze, composto e prodotto con l’aiuto di un’ intera band, i Peng: Piero Monterisi, Emanuele Brignola, il Negro e Gianluca Misiti.
Se è vero che “nessun uomo è un’isola” allora “Un Giorno” è prova tangibile di questo concetto per il grande affiatamento che si avverte fra loro e per una sorta di “salto” qualitativo degli arrangiamenti rispetto ai lavori precedenti; l’omogeneità è agevolata ulteriormente dall’impostazione voluta per la registrazione, quasi come fosse un live, senza un’elaborata postproduzione e bandite le sovraincisioni. I suoni sono vintage (moog e Fender rhodes fra la strumentazione). Si sentono i Police nella sezione ritmica di certi brani come “Avanzo di galera” e nei cori; si sente il Jeff Buckley di “Grace” e le progressioni dei Soundgarden ne “La nostra vita nuova”; ci sono spunti grunge, come l’intro di “Annina” che ricorda vagamente i Nirvana; un punk sempre misto ai Police in “I forzati dell’immagine”. Il basso di Max risuona forte, in primo piano, ricco non solo di tecnica ma di personalità, accordi, rischi ben calibrati. Nella conferenza stampa tenutasi per l’uscita dell’album, Gazzè ha dichiarato che avrebbe dovuto mixare il disco a Chicago con Steve Albini (noto produttore nell’ambito delle indie d’oltreoceano e già collaboratore di Pixies, Nirvana e PJ Harvey), ma a causa degli impegni di Albini il gruppo è stato costretto a ripiegare su un’altra soluzione: fare da soli nella cascina marchigiana dove il Negro dei Peng ha lo studio.
E sembra proprio che il risultato non ne abbia risentito. Da menzionare il cammeo di Daniele Silvestri, “Pallida”, un duetto dalla vocalità battistiana con suoni vicini al rock psichedelico anni sessanta. E veniamo alle lyrics. La tradizione musicale italiana è una tradizione di testi “pesanti”, profondi, e in questo senso Max non se ne discosta affatto. Le parole dell’album, scritte per lo più in collaborazione con il fratello Francesco, sono coinvolgenti, a volte ironiche, a volte intense, ben cantate (anche la sua esse/zeta moscie danno carattere, ad esempio quel “stai sssitta” finale in “Annina”!), soprattutto sono testi rivolti con “intenzione” a chi li ascolta. In fondo non è questo che fa la differenza fra un cantautore e un cantante? I seguaci del bel canto portano avanti l’ugola, il cantautore porta avanti la parola, la volontà di comunicare ciò che noi tutti vorremmo a volte esprimere senza averne il mezzo adatto: in questo riesce Max Gazzè.