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Con “Mount Eerie” Phil Elvrum si è decisamente avvicinato alla composizione perfetta: ora, a distanza di un anno, esce questo live registrato in un fine settimana nella terra del sol levante. Ed è la dimostrazione che la genialità di quest’uomo è tutt’altro che esaurita.
Tanto per cominciare a dispetto della nozione classica di esibizione dal vivo Elvrum presenta solo brani inediti, accompagnandosi nella maggior parte dei casi solo con la chitarra acustica. L’impatto è tale che a tratti sembra di assistere ad un Neil Young schizoide, menestrello del terzo millennio. L’intento è quello di scarnificare definitivamente la struttura delle canzoni, alla ricerca di una purezza assolutamente priva di filtri mediatici: “Great Ghosts” è la messa in musica di questo ideale, delicata e struggente, lirica e appassionata.
Si procede con la desolazione rabbiosa di “The Blow pt.2” e con una “Universe Conclusion” che riporta alla mente gli inverni gelidi descritti dai Black Heart Procession prima di esplodere definitivamente negli squarcianti suoni della chitarra elettrica (con il pianoforte impegnato in scale) e di vedersi ridimensionato quasi subito. Un brano in continuo bilico tra la calma e la furia, nel quale la voce di Elvrum raggiunge picchi di pathos notevoli e che si pone probabilmente come perla dell’intero lavoro, con quel ponte centrale delirante che trasporta il pezzo in un’atmosfera ansiogena del tutto distante dall’acustica che sembrava dover essere il punto di partenza del live.
C’è da dire che raramente i brani si presentano così definiti e accuratamente arrangiati: spesso si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un work in progress, schizzi della mente dell’autore che non hanno ancora trovato una forma chiara. E’ il caso di “We Squirm”, “After N. Young” (e così il riferimento iniziale viene finalmente palesato) e “I Have Been Told That My Skin is Exceptionally Smooth” che si interrompono sul più bello, crudelmente troncate da Elvrum e che appaiono come le braccia monche della Venere di Milo: la perfezione dell’imperfezione.
Microphones è anche, però, un progetto ludico e questo aspetto viene mostrato in due brevissimi passaggi, quando Elvrum propone una sua personale versione di “My Favorite Things”, brano che faceva parte della colonna sonora del celeberrimo e strappalacrime film “Tutti insieme appassionatamente” dove era intonato da Julie Andrews; subito dopo viene attaccata un’assonnata rilettura del natalizio “Silent Night”.
Prima di abbandonare il suo uditorio Elvrum presenta altri due pezzi da novanta, che da soli dovrebbero legittimare l’acquisto di quest’album. Il primo è “I Love You So Much!”, aperto da reiterazioni vocali sulle quali si dipana la voce dell’uomo/Microphones mentre il substrato musicale si fa sempre più corposo e la sezione ritmica trascina in un mondo ipnotico e vagamente inquietante, tra chitarre spettrali e orientaleggianti. Come era già successo in “Universe Conclusion” la follia prende il sopravvento, in un crescendo emozionale di rara efficacia. L’altro brano è il conclusivo “Thanksgiving”, ballata perfetta che esplode in ritornelli tanto brevi quanto trascinanti e tirati, emblema di una musica capace di vivere sulla linea sottile che divide la pace dall’ansia e la gentilezza dalla furia.
Phil Elvrum, album dopo album, continua a porsi come elemento imprescindibile della musica contemporanea, capace di muoversi con agilità tra le derive sonore più disparate, con una genialità e un’innocenza che lasciano veramente stupefatti. E se continuerà a dover andare in Giappone per divertirsi in concerti di tale splendore, allora noi, qui sperduti nella terra “ove il sì suona”, avremo di che preoccuparci.