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Forse la mia immaginazione vaga più del dovuto, ma questo disco mi fa pensare a un viaggio. “So I, sing”, un’introduzione molto a là Elliott Smith, è l’ingresso in autostrada; le altre dieci canzoni sono ciò che colmano le enormi distanze tra una casa e l’altra, nel paesaggio, durante un viaggio benedetto dal sole e da un tepore leggero.
Cosa vi ho raccontato di questo disco, finora? Nulla, forse, anche se questa descrizione è più pertinente di quanto crediate: ve ne renderete conto ascoltando “Omertà”. Superato lo scoglio di un titolo che, per noi italiani, suona davvero molto male, vi troverete ad ascoltare una musica gentile, un lavoro d’artigianato di un duo proveniente dal Kansas, con le radici musicali ben piantate nel folk. Gli spazi ariosi dentro alle loro canzoni fanno pensare a dei Low molto più solari: basti ascoltare “(who will be) here to hear”, con la sua melodia carezzevole e i leggeri tocchi di slide guitar.
Un brano come il singolo “Never say anything” avrebbero potuto scriverlo i Turin Brakes, se solo i due inglesi avessero rinunciato a quella magniloquente grandeur nella voce, a quel piglio melodrammatico che sembra diventato necessario alle band d’oltremanica: qui, al contrario, tutto è molto più intimo, le note scivolano dentro senza forzare, anche nei radi tentativi di accelerazione ritmica. I The Belles mostrano un senso melodico e una ricchezza timbrica invidiabile, hanno un’eleganza rara: sanno tenere in ombra le chitarre più taglienti (“Estranged”) senza temere di risultare troppo leggeri, colorano con tocchi pianistici raffinati una tela già perfetta (“His undoing, was his undoing”); alternano momenti maggiormente lo-fi come “Liquid breakfast” (di nuovo lo spirito di Elliott Smith a fare capolino) al passo mesto e arricchito da wurlitzer e archi di “These things will kill me” con grande sapienza, per poi chiudere il viaggio con il folk intimista di “A thousand ships”.
Intitolare un disco richiamando il codice del silenzio, qualcosa che impedisce di parlare e di comunicare le proprie emozioni? Mai titolo avrebbe potuto essere più ingannevole: “Omertà” è una sorpresa bellissima.