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Sono abituato a pensare agli USA come ad un grande omogeneizzatore culturale, a una forza simil-coloniale che tende a rendere marginali le sottoculture o le tradizioni lontane; strano, allora, che questo “Home”, secondo disco dei Fiamma Fumana, sia uscito negli Stati Uniti da un anno, grazie all’etichetta Omnium, e che trovi distribuzione in Italia solo ora. Grazie alla Mescal, allora, anche perché “Home” è la cosa migliore che Fiamma abbia mai fatto da quando ha iniziato a cantare, album da solista compreso: la voce è molto più disciplinata grazie al canto tradizionale, meno incline a scivolare in certi accenti a-là- Björk, più divertita, più consapevole di sé.
È un gran bel sentire, perché queste tredici canzoni sono in grado di appassionare chiunque: pochi andrebbero a sentire dal vivo gruppi di musica tradizionale, e così “Home” diventa l’occasione di avvicinarsi ad un patrimonio che altrimenti rischia di ridursi a triste folklore da sagra di paese, per poi svanire ed essere dimenticato. Non è così impensabile, allora, lanciarsi in una danza folle sulle note di “A vòi tòr marì” (la storia di una ragazzina che fugge di casa per sposarsi, e che, una volta tornata, viene rifiutata dai genitori), conoscere un po’ della vita da mondina e della predestinazione ad un lavoro infame già scritta in ognuna di queste donne (“La mondina”), scoprire una versione solenne e quasi funebre di una “Bella ciao” cantata dal vivo col Coro delle Mondine di Novi, per poi ballare nuovamente sulle note di “Marìdem”, magari facendosi solleticare dall’idea che esista una base comune a tutta la musica popolare (quel flauto di Lady Jessica non insegue forse melodie irish folk?).
Insomma, per un popolo di sanguemisti come il nostro (come proclama “Mixedblood”, in duo con Toni Acquaviva degli Agricantus, un altro che ha speso anni di passione a modernizzare le tradizioni dei popoli) è quasi un dovere scoprire le proprie radici, intricate e multiformi come quelle di nessun altro popolo. E “Home” offre la possibilità di farlo, ballando.